Il Sud non fa più notizia né questione, in primo luogo la Calabria. I media replicano “l’effetto Duisburg”, l’eco dell’orrore, quando in una provincia meridionale si sparge sangue oppure per casi di lupara in Emilia, Lombardia, Liguria, nei “ghetti” del centro Italia riservati ai collaboratori di giustizia. La ribalta della cronaca dura un attimo, poi tutto procede come sempre. È una costante della società 2.0: dello spettacolo, delle emozioni sul dolore altrui.



In questa dimensione di apparenza, priva di spessore, memoria e discernimento, le mafie sollevano la politica dalla responsabilità del divario del Mezzogiorno dal Nord produttivo; divario intanto economico, di diritti, occasioni. La colpa è soltanto dei boss, dei loro apparati di morte. Questa è la vulgata dominante, mentre si mescolano la paura e la rassegnazione popolare alla punta dello Stivale.



In Calabria due aziende sanitarie provinciali su cinque sono state sciolte per infiltrazioni e perciò commissariate: a Reggio e Catanzaro, con la probabilità che la stessa sorte tocchi a quella di Cosenza. Tanto basta per dimostrare l’interesse, la presenza, il pugno dello Stato in un territorio di antichi affari e commistioni, di irrisolti che hanno prodotto carriere politiche folgoranti, acuito fenomeni letterari e amplificato personaggi e clamori televisivi.

Eppure c’erano dati, elementi raccapriccianti: l’Asp di Reggio Calabria non aveva – e non ha – un bilancio certo; assurdo ma vero. Da lì sparirono quasi 400 milioni di euro senza tracce, in un contesto blindato dal vecchio patto tra imprenditoria spregiudicata, colletti bianchi e “uomini d’onore”. L’Asp catanzarese aumentava il disavanzo, mentre Lamezia Terme, con aeroporto e ospedale strategici, si preparava all’ennesimo, prevedibile scioglimento del Consiglio comunale, al tracollo della società di gestione dei servizi aeroportuali e al collasso repentino dei “reparti” sanitari, accompagnato dall’annessione forzosa del nosocomio locale alla nuova azienda ospedaliera di Catanzaro.



I commissari del governo e i ministeri vigilanti (Economia e Salute) conoscevano bene i livelli della degenerazione, ma Roma era – e rimane – lontana come Bruxelles; tolti gli inutili, stucchevoli protocolli di intesa per la legalità e le misure palliative tipo “Garanzia giovani”, valsa a trasformare in questuanti i giovani laureati, a perpetrare promesse e ricatti di un’immarcescibile classe politica.

Oggi in Calabria, l’area più martoriata del Sud, le Regionali si preparano con calcoli e strategie anni ’70, prove di puro mauqillage e contrattazioni a porte chiuse. Nella cantina dell’oblio restano fuori di ogni confronto, sepolte dalla polvere, tante priorità di questa terra: la creazione di lavoro dignitoso, l’incremento indispensabile della quota parte del Fondo sanitario, l’esigenza di ridurre la diaspora dal territorio, di rinverdire e controllare la burocrazia regionale, di rivedere il costo del denaro e l’accesso al credito, di prevedere vantaggiosi sgravi per le imprese, di rilanciare sul serio il porto di Gioia Tauro e il sistema aeroportuale, di collegare università e aziende locali.

La ‘ndrangheta prospera nella povertà, di cultura e di economia. Come ha osservato il giornalista Giuseppe Baldessarro, «il dramma del Sud non sono più i suoi figli che se ne vanno. Il dramma vero del Sud è che sono felici di andarsene».

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