Il rapporto Svimez 2019, nelle anticipazioni rese note in questi giorni, conferma l’allargamento della forbice economica tra Nord e Sud e lega a ciò anche la crisi demografica che investe l’Italia meridionale. “Nel progressivo rallentamento dell’economia italiana, si è riaperta la frattura territoriale che arriverà a segnare un andamento opposto tra le aree, facendo ripiombare il Sud nella recessione da cui troppo lentamente era uscito”. Ad avviso della Svimez, quest’anno “l’Italia farà registrare una sostanziale stagnazione, con incremento lievissimo del Pil del +0,1%. Al Centro-Nord dovrebbe crescere poco, di appena il +0,3%. Nel Mezzogiorno, invece, l’andamento previsto è del -0,3%”.



Dal punto di vista demografico, “gli emigrati dal Sud tra il 2002 e il 2017 sono stati oltre 2 milioni, di cui 132.187 nel solo 2017. Di questi ultimi, si legge, “66.557 sono giovani (50,4%, di cui il 33% laureati)”. Il saldo migratorio interno, al netto dei rientri, “è negativo per 852mila unità – prosegue Svimez -. Nel 2017 sono andati via 132mila meridionali, con un saldo negativo di circa 70mila unità”. La ripresa dei flussi migratori è “la vera emergenza meridionale, che negli ultimi anni si è via via allargata anche al resto del Paese”.



Secondo l’istituto di ricerca sul Mezzogiorno, sono più i meridionali che emigrano dal Sud per andare a lavorare o a studiare al Centro-Nord e all’estero che gli stranieri immigrati regolari che scelgono di vivere nelle regioni meridionali. In base alle elaborazioni della Svimez, infatti, i cittadini stranieri iscritti nel Mezzogiorno provenienti dall’estero sono stati 64.952 nel 2015, 64.091 nel 2016 e 75.305 nel 2017. Invece i cittadini italiani cancellati dal Sud per il Centro-Nord e l’estero sono stati 124.254 nel 2015, 131.430 nel 2016, 132.187 nel 2017.

Il dato demografico calabrese è ancora più allarmante. Da una nostra analisi sui dati Istat dei residenti al 1° gennaio di ogni anno, la popolazione calabrese tra il 2011 e il 2019 si è ridotta del 3,19%, rispetto al dato nazionale di un -0,44% e a quello delle regioni meridionali (isole escluse) del -1,61%. I residenti in Calabria si sono infatti ridotti dai 2.011.395 del 2011 a 1.947.131 nel 2019. Il dato reale è ancora più allarmante perché molti calabresi che si trasferiscono fuori per studio o lavoro, spesso mantengono, solo formalmente, la residenza nel luogo di origine per molti anni.



Per la Calabria, contrariamente a quanto rilevato da Svimez sui dati generali, lo spopolamento riguarda anche i centri più grandi e non solo i piccoli comuni. Nei capoluoghi di provincia, infatti, con la sola eccezione di Crotone, la riduzione di popolazione residente è stata, negli otto anni da noi considerati, rispettivamente del -4,36% a Catanzaro, del -3,99% a Cosenza, del -3,31% a Reggio Calabria e -1,18% a Vibo Valentia. Del resto, il panorama a cui si assiste girando in quasi tutti i quartieri di queste città, è quello di serrande abbassate e di cartelli con le scritte “vendesi” o “fittasi” sulle porte di molti magazzini e di molte case.

I perché della grande fuga dal Sud e dalla Calabria sono stati più volte spiegati: condizioni economiche e sociali meno attraenti, ripaganti e soddisfacenti rispetto a un’economia più ricca come quella del Nord e di recente anche il consistente ritorno dell’emigrazione fuori dall’Italia, con le attrazioni e l’aspettativa del mondo globalizzato. Ciò, si rimarca spesso, finisce con l’impoverire ulteriormente il Sud e anche con lo sprecare gli investimenti nella formazione, soprattutto universitaria, con i migliori laureati che non aspettano altro che correre verso sistemi in cui è più naturale affermarsi e riuscire.

Più che lo sfruttamento del lavoro, come ha scritto Yuval Noah Harari nelle sue 21 lezioni per il ventunesimo secolo, si corre il rischio di andare verso una irrilevanza dei giovani e del lavoro.

Per il resto le ricette che arrivano dalla politica, quando arrivano, sono le solite buone intenzioni, mai attuate. Tutte condivisibili ma su cui è sempre manca la capacità di uno scatto di reni realizzativo: il puntare sui settori che teoricamente presentano margini di crescita ovvero turismo sostenibile e valorizzazione culturale, agricoltura biologica, agroindustria, logistica e porti, patrimoni enogastronomico e paesaggistico.

Ma l’avvertimento di Harari, l’irrilevanza, rischia di essere il futuro non solo della Calabria e del Sud, ma dell’intera Italia.