Intimamente connesso con l'”oggettivismo” dell’approccio scientista è il suo collettivismo metodologico, la sua tendenza a trattare certi “insiemi” quali “società” o “economia” o “capitalismo” (come “fase” storica determinata) o una particolare “industria” o “classe” o “nazione” come oggetti dati, in se stessi compiuti, le cui leggi possiamo scoprire osservando il loro comportamento come “insiemi”. Mentre lo specifico approccio soggettivistico delle scienze sociali parte, come si è visto, dalla nostra conoscenza del “di dentro” di questi insiemi sociali, dalla conoscenza dei singoli atteggiamenti che ne costituiscono la struttura, l’oggettivismo delle scienze della natura tenta di considerarli dal “di fuori” […] li tratta come se fossero oggetti da noi direttamente percepiti come “insiemi”.
Parecchie sono le ragioni per cui questa tendenza si manifesta tanto frequentemente fra gli studiosi di scienze della natura. Essi sono abituati a ricercare, in primo luogo, certe regolarità empiriche nei fenomeni relativamente complessi che si presentano all’osservatore come dati immediati e, soltanto dopo aver identificato codeste regolarità, essi cercano di spiegarle come se fossero il risultato della combinazione di altri, spesso meramente ipotetici, elementi (costrutti) che si presume si comportino secondo norme più semplici e più generali.
Essi sono quindi inclini a cercare, anche in campo sociale, anzitutto certe regolarità empiriche nel comportamento dei complessi, prima ancora di avvertire la necessità di una spiegazione teorica.
Questa tendenza risulta ulteriormente favorita dalla constatazione empirica che, nel comportamento degli individui, poche sono le regolarità che si possono stabilire in modo rigorosamente obiettivo. Perciò tornano a concentrare l’attenzione sugli “insiemi”, nella speranza di rintracciare, almeno in questi, le regolarità che cercano.
Infine dobbiamo tener presente l’influenza della convinzione, alquanto vaga, che essendo oggetto di studio i “fenomeni sociali”, il procedimento più ovvio sia di partire dall’osservazione diretta di questi “fenomeni sociali”: convinzione dovuta al fatto che l’esistenza, nell’uso corrente, di termini come “società” o “economia” è ingenuamente considerata come prova evidente dell’effettiva esistenza di determinati “oggetti” che a quei termini concretamente corrispondono.
Il fatto che tutti parlino di “nazione” o di “capitalismo” porta a credere che il primo passo, nello studio di questi fenomeni, debba consistere nell’andarne a verificare l’aspetto, esattamente come ci si comporterebbe nei confronti di una certa roccia o di un certo animale. L’errore implicito in questo approccio collettivistico consiste nel considerare alla stregua di fatti quelle che non sono altro che teorie provvisorie, modelli costruiti dalla mente ingenua per spiegarsi la connessione esistente fra alcuni dei fenomeni singoli che noi osserviamo. […]
Quelli che raggruppiamo come esempi della medesima entità collettiva, del medesimo insieme, sono, in realtà, complessi diversi di fenomeni singoli, tra loro anche assolutamente dissimili, ma che noi riteniamo collegati l’un l’altro in modo simile; sono selezioni di certi elementi di un quadro complesso, effettuate in base ad una teoria sulla loro coerenza. […] In altre parole, gli “insiemi” di cui parliamo esistono solo se, e nella misura in cui, è esatta la teoria che abbiamo elaborato sulla connessione delle parti che essi implicano e che noi possiamo esplicitamente enunciare soltanto sotto la specie di un modello costruito sul fondamento di tali relazioni. Perciò le scienze sociali non si occupano di dati “insiemi”, ma loro compito è di procedere alla costituzione di questi insiemi costruendone i modelli in base ad elementi noti.
Codesti modelli riproducono la struttura delle relazioni che sussistono fra alcuni degli innumerevoli fenomeni che ci appaiono sempre insieme nella vita reale. […]
L’errore di trattare alla stregua di oggetti reali gli insiemi, che non sono altro che costrutti e che non possono avere altre proprietà che quelle derivanti dal modo in cui li abbiamo messi insieme a partire dagli elementi componenti, si è manifestato in varie forme, ma, forse più frequentemente, nella forma di teorie che postulano l’esistenza di una mente “sociale” o “collettiva” ed ha, sotto questo profilo, determinato l’emergenza di pseudo-problemi di ogni genere. La medesima idea si presenta spesso, anche se imperfettamente, mascherata nell’attribuzione alla società di una sua “personalità” o “individualità” specifica. Quale che ne sia la terminologia, queste forme hanno sempre in comune questa caratteristica: che invece di ricostruire gli insiemi partendo dalle relazioni fra menti individuali, delle quali abbiamo conoscenza diretta, trattano una vaga intuizione d’insieme come entità reale, come qualcosa di simile alla mente individuale. L’impiego abusivo, sotto questa forma, nelle scienze sociali, di concezioni antropomorfiche ha comportato gli stessi rovinosi effetti che provocò nelle scienze della natura.