Cominciamo con l’“argomento fondamentale” di Mr. Anthony Downs. Che cosa significa “ugual peso” dei votanti? Supponiamo che A e B siano votanti, e che essi siano ugualmente in grado di raggiungere i loro fini rispettivi. Ipotizziamo che questa uguale possibilità sia ciò che viene chiamato ugual peso dei votanti A e B. Supponiamo quindi che i loro fini rispettivi siano incompatibili. Se il votante A prevalesse sul votante B, in modo che il fine di A sia conseguito e il fine di B sia reso vano, noi concluderemmo che i votanti A e B non hanno “ugual peso” nel senso che essi non sono ugualmente in grado di raggiungere i loro fini rispettivi. Supponiamo ora che i votanti siano A, B e C, e che A e B votino nello stesso modo avendo fini uguali, mentre C voti in modo opposto per conseguire un fine che è incompatibile con quelli che A e B hanno in comune.

Secondo la regola di maggioranza, i voti di A e rispettivamente di B prevarrebbero, la decisione di gruppo sarebbe identificabile con quelle di A e B. C perderebbe il suo voto e il suo fine sarebbe reso vano. Possiamo affermare che i votanti A e B da un lato e il votante C dall’altro hanno avuto “ugual peso”, cioè che A e B da un lato e C dall’altro sono stati ugualmente in grado di raggiungere i loro fini rispettivi? La risposta è no. Il significato dell’espressione “ugual peso” deve perciò essere diverso da quello di “uguali possibilità” dei votanti A, B e C di raggiungere i loro fini rispettivi attraverso una decisione politica. In realtà secondo i sostenitori della regola di maggioranza “ugual peso” significa soltanto che ogni votante può essere addizionato a ogni altro votante che vota nello stesso modo, proprio come i numeri cardinali possano essere addizionati l’uno all’altro secondo alcune regole elementari di aritmetica.

Ma da questa proprietà aritmetica dei votanti, considerati come numeri cardinali, non possiamo dedurre alcuna conclusione sulla presunta posizione di privilegio dei suddetti votanti quando la loro somma è rappresentata da un certo numero, per esempio 51, invece di, per esempio, cinquanta o qurantanove. “Ugual peso” dei votanti in questo significato aritmetico non vuol dire affatto che ai votanti che sono addizionati l’uno all’altro come uguali unità aritmetiche e raggiungono la somma di 51 debba essere data eo ipso un peso maggiore (nel primo significato che abbiamo ipotizzato, cioè maggiori possibilità di raggiungere i loro fini) che ai rimanenti votanti che addizionati l’uno all’altro secondo le identiche regole aritmetiche hanno raggiunto solo la somma, per esempio, di qurantanove invece che di cinquanta o cinquantuno. Nonostante ciò, anche il primo significato di “ugual peso” dei votanti viene più o meno consciamente implicato dai sostenitori della regola di maggioranza, e questa è probabilmente la ragione per la quale la regola di maggioranza appare così affascinante a coloro che celebrano tale regola in politica nello stessa modo in cui celebrano il fatto che un dollaro ha lo stesso valore di ogni altro dollaro, in modo che tutti i dollari mettono ugualmente in grado i loro proprietari di raggiungere nel mercato i loro fini rispettivi.

Per dire la stessa cosa in modo diverso, vi è una possibile (ed io sospetto spesso effettiva) confusione tra il significato di “ugual peso” dei votanti in quanto abbiano uguali possibilità di raggiungere i loro fini, e il significato di “ugual peso” degli stessi votanti in quanto essi siano considerati come singole unità che sono semplicemente addizionate l’una all’altra secondo le regole dell’aritmetica. A causa di questa confusione, i sostenitori della regola di maggioranza sulla base del concetto di “ugual peso” trovano naturale di “dedurre” una conclusione politica da una regola aritmetica, poiché l’uguaglianza dei “pesi” sembra essere rispettata in modo simile in entrambi i campi. Ma questa confusione tende a nascondere il fatto importante che considerando per esempio la somma di cinquantuno votanti su cento come “politicamente” uguale alla somma di tutti i cento votanti, e la corrispondente somma dei rimanenti qurantanove votanti (contrari) come “politicamente” uguale a 0 (che è esattamente quello che avviene quando viene presa una decisione di gruppo secondo la regola di maggioranza) noi diamo precisamente un peso molto maggiore (anche in un senso “aritmetico”) a ciascun votante schierato nella parte dei cinquantuno vincitori rispetto a quello che diamo a ciascun votante schierato nella parte dei qurantanove perdenti.

Ragioni storiche ebbero ovviamente una parte importantissima nell’impedire che la gente riflettesse sulla contraddittorietà di una dottrina che pretendeva di sostenere l’uguaglianza di opportunità per tutti in politica e contemporaneamente negava quella stessa uguaglianza mediante l’applicazione della regola di maggioranza. I sostenitori della regola di maggioranza usavano concepirla – soprattutto – come il solo mezzo possibile per opporsi al potere illimitato esercitato da oligarchie o da altri singoli tiranni su larghe masse della popolazione.

II “peso” dato alla volontà, o potremmo dire all'”ideale voto”, dei tiranni nelle società politiche in cui essi dominavano appariva così sproporzionatamente schiacciante a paragone di quello lasciato alla volontà di tutti gli altri individui appartenenti a quelle società, che l’applicazione della regola di maggioranza sembrò la sola via da seguire per restaurare l’uguaglianza dei “pesi” per le volontà di tutti gli individui considerati, e pochissimi si diedero la briga di indagare se l’equilibrio politico non venisse ad essere spostato dalla parte opposta.

Quel comune atteggiamento è vivacemente espresso, per esempio, in una lettera che Thomas Jefferson scrisse ad Alexander von Humboldt da Monticello il 13 di giugno del 1817: “Il principio primo del repubblicanesimo è che la lex maioris partis è la legge fondamentale di ogni società di individui di uguali diritti: considerare la volontà della società espressa da una maggioranza di un solo voto ugualmente sacra come se fosse unanime, è per importanza la prima di tutte le lezioni, sebbene sia stata l’ultima ad essere completamente imparata. Una volta che questa legge non venga osservata, non ne rimangono altre che quella della forza, la quale conduce necessariamente al dispotismo militare. Questa è stata la storia della rivoluzione francese; ed io spero (così aggiungeva Jefferson in modo profetico) che la comprensione dei nostri fratelli del sud possa essere sufficientemente allargata e sana da vedere che il loro destino dipende dall’osservanza sacra di questa legge”.