Quando le si chiedeva come mai scrivesse così frequentemente di aspetti grotteschi, Flannery O’Connor, che era molto arguta, era solita rispondere che, a loro, nel Sud, piaceva pensare di essere ancora in grado di riconoscerli. In realtà, le storie della O’Connor sono pervase da una profonda intuizione cattolica dello spirito dei nostri giorni e dal risultato di quella determinazione, specificatamente moderna, a identificare la libertà con l’autonomia radicale e personale (“il fare a modo mio”). Come scrisse in una delle sue lettere postume (riferendosi a una stupida recensione di uno dei suoi racconti apparsa sul «New Yorker»), «a certi settori della popolazione hanno estirpato il senso morale, come a certi polli estirpano le ali per ottenere più carne bianca». Penso che per “senso morale” la O’Connor intendesse “l’abitudine a essere”, quella sensibilità spirituale che ci consente di fare esperienza del mondo non come di cose che si susseguono ma come del teatro della creazione, peccato, redenzione e santificazione. «Questa è una generazione di polli senza ali», continua la O’Connor, «e credo che Nietzsche alludesse alla stessa cosa dicendo che Dio è morto». La proclamazione della morte di Dio si risolve nella morte di ciò che è veramente umano: quello che è rimasto sono polli senz’ali. E qui c’è la seconda questione da considerare: non c’è nulla di sentimentale nel cattolicesimo, nonostante i sentimentalismi che a volte la pietà cattolica si porta dietro. «Non c’è nulla di più duro e meno sentimentale del realismo cattolico», scriveva Flannery O’Connor, perché il cristianesimo si regge sull’incarnazione: Dio entra nella storia nella persona di Gesù di Nazareth che è sia il figlio di Dio che seconda persona della Trinità, che figlio di Maria, una giovane ragazza ebrea vissuta ai confini dell’impero romano. La storia e l’umanità sono i mezzi attraverso i quali Dio si è rivelato al mondo che ha creato. La storia è l’arena e l’umanità il vascello attraverso il quale Dio redime il mondo. La storia e l’umanità contano, e contano davvero: non per il nostro orgoglio, ma per l’amore misericordioso di Dio, quell’amore non sentimentale ma purificante di un padre che accoglie il figliol prodigo a casa, sapendo bene che il figlio prodigo ha riempito di disordine la sua vita a causa dell’egoismo, in nome della sua “autonomia”, della sua convinzione che non c’è nulla che, compreso se stesso, conti veramente. «Se vivi oggi, respiri il nichilismo […] è il gas che respiri» scrisse Flannery O’Connor; «Se non avessi avuto la Chiesa per combatterlo, o che mi avvertisse della necessità di combatterlo, sarei la più sgradevole positivista che si sia mai vista». E allo stesso modo credo lo sarei anch’io e forse anche voi. Ecco dunque un altro modo di pensare il cattolicesimo e la sua visione distintiva del mondo e degli uomini: il cattolicesimo è un antidoto al nichilismo. E per “nichilismo” non intendo tanto l’aspro, scuro e spesso violento nichilismo di Nietzsche e Sartre, ma quello che il mio amico, padre Ernest Fortin (che a sua volta aveva preso a prestito il termine dal suo amico Allan Bloom) era solito definire “bonario”: un nichilismo che tende all’oblio, convinto che tutto – il mondo, noi, le relazioni, il sesso, la bellezza, la storia – sia in realtà solo uno scherzo cosmico. Contro il nichilismo che vorrebbe che non vi sia nulla di importante, il cattolicesimo continua a sostenere che tutto è importante, perché tutto è stato redento da Cristo. Se ciò è vero, allora cambia anche il nostro modo di vedere le cose, e cambia il modo in cui le cose appaiono. Ecco cosa dice Flannery O’Connor, riflettendo sulla differenza cattolica all’interno della sua vita artistica e spirituale, e in quella dell’amica scrittrice Caroline Gordon Tate:

Sento che se non fossi cattolica, non avrei motivo di scrivere, di vedere, di gioire delle cose o di provarne spavento. Sono nata cattolica e ho frequentato scuole cattoliche durante la mia infanzia. Non ho mai lasciato o desiderato lasciare la Chiesa. Non ho mai pensato che essere cattolici fosse un limite alla libertà di uno scrittore, anzi era l’opposto. La signora Tate mi ha detto che dopo essere diventata cattolica, ha sentito di poter usare gli occhi e accettare ciò che vedeva per la prima volta, non ha dovuto creare un nuovo universo per ogni libro ma poteva usare quello che aveva trovato.

A dire il vero, il cattolicesimo vuole sì cambiare il mondo convertendolo, ma allo stesso tempo prende il mondo com’è. Il cattolicesimo cerca di convertire questo mondo non qualche altro mondo o qualche altra umanità che possiamo immaginare, perché Dio ha preso il mondo com’era. Dio non ha creato un mondo diverso da redimere ma, nella persona del Figlio, ha redento il mondo che ha creato, che è un mondo di libertà nel quale ogni nostra decisione ha conseguenze reali, buone o cattive. Flannery O’Connor si lamentava sarcasticamente dei critici che definivano le sue storie “racconti dell’orrore”. Secondo la scrittrice avevano sempre considerato “l’orrore sbagliato”. L’orrore non è la cattiveria ma è il fatto che se nel mondo moderno tutto ha perso importanza allora la cattiveria non è vera cattiveria, il bene non è bene e noi siamo tornati di nuovo ad essere quei patetici “polli senz’ali”.