Dedicarsi allo studio della Dottrina sociale della Chiesa significa introdursi ad uno studio tanto semplice quanto complesso.
Semplice, in quanto l’oggetto di cui tratta la Dottrina sociale della Chiesa è la concreta vita sociale dell’uomo e ogni uomo ne fa esperienza in modo unico; a partire da questa considerazione egli riconosce che in ordine all’oggetto e al soggetto della Dottrina sociale della Chiesa si tratta proprio di lui e dei suoi rapporti con coloro con i quali si trova quotidianamente ad interagire.
D’altro canto ne avverte tutta la complessità, dal momento che la vita sociale è in se stessa strutturata in forma complessa, secondo un intreccio di sfere storico-esistenziali e di sistemi i quali presentano ciascuno interessi e obiettivi diversi, a seconda che la “persona agente” abbia a che fare con le problematiche peculiari della politica, dell’economia, del lavoro o di qualsiasi altra dimensione dell’esistenza umana.
La Caritas in veritate non vuole essere un trattato di economia, bensì un documento teologico-pastorale le cui argomentazioni si situano nel punto di congiunzione dove le scienze sociali incontrano l’antropologia cristiana e in tal luogo sono giudicate e unificate da essa.
Il paragrafo 34 dell’enciclica di Benedetto si apre con una dichiarazione il cui valore politico è sin troppo evidente, si consideri l’antiperfettismo di alcuni passi del The Federalist e i presupposti di alcuni padri del costituzionalismo moderno di marca anglosassone.
Si tratta di una tale cristallina visione dell’uomo che agisce nella società, ben presente nella storia del pensiero cattolico, si consideri all’antiperfettismo di Sturzo, che consente al Magistero sociale di Benedetto di giudicare come parziali e talvolta infernali le diverse derive materialistiche del XIX secolo.
La riflessione socio-economica della Caritas in veritate non si discosta dall’insegnamento del suo immediato predecessore. I cardini sui quali poggia sono pur sempre il principio di solidarietà e di sussidiarietà.
” stato merito di Giovanni Paolo II, ed è un tratto caratteristico del Magistero di Benedetto XVI, sin dalla Deus caritas est, aver mostrato la complementarietà dei due principi, evidenziando l’impossibilità di concepire la sussidiarietà a prescindere da una comprensione altrettanto consistente della solidarietà, dunque, della giustizia sociale.
La “soluzione personalista-relazionale”, ad esempio, proposta da Benedetto XVI sin dal Messaggio per la Pace del 2009, in pratica, incontra il principio di solidarietà sul terreno del principio di sussidiarietà: il tema dell’esercizio della giustizia commutativa non è disgiunto, bensì assume significato autentico nella pratica della virtù della giustizia distributiva.
” questo il tema trattato da Benedetto XVI nel paragrafo 35 in merito alla complementarietà del mercato rispetto ad altre dimensioni della alla vita sociale.
Il mercato ci viene presentato come la più alta forma di collaborazione tra persone che non condividono necessariamente gli stessi fini. Il mercato si fonda sul principio contrattualistico della “reciprocità”, esso ovviamente non è il dono e neppure la rapina; la vita degli uomini non si risolve nel mercato, ma relegare il mercato tra le relazioni utilitaristiche, oltre ad essere un errore logico e storico, appare sempre più un errore pratico e, alla lunga, potrebbe risolversi in un errore politico.
La catallassi, il mercato, è la tipologia sociale propria degli uomini liberi che consapevolmente cum-petono per ottenere il miglior risultato possibile, in ordine all’allocazione di beni scarsi e disponibili; ciò che non è scarso e non è disponibile evidentemente non entra e non deve entrare nella logica di mercato.
 



" in questo contesto che Benedetto XVI pone l’accento sull’importanza della giustizia distributiva per l’esistenza della stessa economia di mercato, in quanto in grado di offrire i fattori extracontrattuali necessari affinché un contratto possa essere stipulato e al minor costo possibile.
" in questa atmosfera concettuale, oltre che pastorale, che emerge un’affermazione di grande valore propositivo: "Non si tratta solo di correggere delle disfunzioni mediante l’assistenza.
I poveri non sono da considerare un ‘fardello’, bensì una risorsa anche dal punto di vista strettamente economico". In queste parole sono presenti tutti i temi affrontati da Giovanni Paolo II in Sollicitudo rei socialis (1987) e in Centesimus annus (1991).
Argomenti che spinsero alcuni commentatori dell’epoca a parlare di barefoot capitalism, un capitalismo a piedi scalzi che ricorda le analisi dell’economista peruviano Hernando De Soto, ma anche quella decisamente più vicina a noi di "capitalismo popolare" di Luigi Sturzo.
Per questa ragione, il tema sturziano dell’integralità e dell’indivisibilità della libertà e con essa dello sviluppo umano è espresso da Benedetto XVI nella teorizzazione dell’impossibilità del mercato di auto fondarsi. Il mercato per Benedetto XVI vive e prospera in forza delle virtù come l’onestà, la fiducia, la simpatia, ma non è in grado necessariamente di crearle da solo; e, qualora dovesse promuoverle, lo fa solo nella misura in cui i soggetti che vi operano svelgono di vivere secondo virtù e, così facendo, per usare un argomento tipicamente smithiano, anche inintenzionalmente finiscono per lubrificare i meccanismi del corpo sociale.
La prospettiva di Benedetto XVI è sì un nuovo ordine mondiale, così come all’indomani della seconda guerra mondiale lo fu per i padri dell’"ordoliberalismo" e per la prospettiva sturziana espressa nel volume "L’Italia e l’ordine internazionale".
Si trattava, e nella riflessione di Benedetto XVI si tratta, ad ogni modo, di un’idea di ordine economico e di ordinamento politico mondiale anch’essi ispirati al principio di sussidiarietà orizzontale e verticale, se non si vuole cadere nella trappola hobbesiana, di un Leviathan globale le cui prerogative sovrane non appaiano più circoscritte neppure dalle pur deboli barriere nazionali.
In definitiva, Benedetto XVI rinvia al significato "ordolibelarale" e "popolare – sturziano" di ordine e di ordinamento; "ordine" e "ordinamento" appaiono una variabile determinante per la definizione e l’apprezzamento di un dato mercato.
Il mercato è un sistema relazionale, la cui cifra "civile" è data dalla capacità dei regolatori di individuare con metodo "cooperativo" (partecipativo-democratico) le procedure che consentano agli operatori del mercato la condivisione delle medesime regole.
Per il rispetto di tali regole è necessario predisporre per via sussidiaria, come indicava Sturzo in "L’Italia e l’ordine internazionale", di un sistema di istituzioni nazionali e sovranazionali che ne salvaguardi la certezza e la trasparenza operativa, avendo a cuore l’ampliamento dei margini di libertà integrale degli operatori, presupposto indispensabile per ogni forma di sviluppo.
Appare con chiarezza che oggetto della critica al paradigma economico dominante non siano la proprietà privata, il mercato o il perseguimento del profitto, che Benedetto XVI, in sintonia con il suo predecessore invece ha saputo analizzare ed anche ridefinire, quanto il materialismo ed il conseguente annullamento della dignità – "la grande verità di tutti i tempi" –, la quale si esplica e si declina nella persona umana, in primo luogo nel valore della libertà integrale ed indivisibile, indispensabile per uno sviluppo altrettanto integrale.
Le attività economiche, al pari di qualsiasi altra dimensione dell’agire umano, non si realizzano mai in uno vuoto morale o in un mondo virtuale, ma all’interno di un determinato contesto culturale, le cui matrici possono essere riconosciute e apprezzate ovvero trascurate e disprezzate.
In questa prospettiva, una sana economia di mercato è sempre limitata da un ordine giuridico che la regola e da istituzioni morali, come ad esempio la famiglia e la pluralità dei corpi intermedi, che interagiscono con essa e la influenzano, essendone esse stesse influenzate.

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