Il 15 luglio 1958 “Il Giornale d’Italia” pubblicò un articolo di Luigi Sturzo dal titolo “Saragat e il Mezzogiorno”. Lo spunto fu dato da un duro giudizio del leader dei socialdemocratici a una proposta dei senatori Sturzo e Ferretti in favore dell’iniziativa privata nelle regioni meridionali. Saragat affermò: “Vengono a dirci che noi uccidiamo l’iniziativa privata del Mezzogiorno, ma vorrei proprio che qualcuno specificasse dove si trova esattamente questa iniziativa. Da secoli nel Mezzogiorno non esiste alcuna seria iniziativa industriale e non può non sorprendere che siano proprio i meridionali a muoverci una tale accusa. Con il suo intervento nel settore industriale lo Stato vuole portare nel Sud il benessere e supplire alle insufficienze dell’iniziativa privata”.
Sturzo reagì precisando innanzitutto che non era affatto vero che da secoli l’iniziativa privata latitasse nel Sud: “La verità storica è un’altra: di tutte le contrade italiane, proprio il Mezzogiorno continentale e la Sicilia prima dell’unificazione nazionale erano fra le più prospere e avevano industrie locali adatte ai tempi. Pochi sapranno delle sete meridionali, ma tutti sanno dei grandi impianti del Marsala, che fin da allora facevano concorrenza ai vini pregiati della Spagna. Le iniziative di Florio, non solo per il marsala e le ceramiche, ma per la flotta mercantile ebbero sviluppo eccezionale. (….) Continuando i vecchi riucordi, noto la ricerca e lo sfruttamento dello zolfo siciliano, i cantieri navali, le tonnare e altre iniziative peschereccie, le conserve alimentari, le essenze di agrumi e fiori. Tali iniziative di qua e di là del Faro dell’epoca pre e post-unitaria non furono merito di governi; e quel che sparì fu demerito di tutti perché l’unificazione italiana, mentre ci diede la libertà politica, ci tolse per lungo tempo le possibilità economiche, sia perché il tesoro del regno di Napoli e Sicilia servì a colmare i deficit del nascente regno italiano, sia perché gli uomini di stato e i tecnici nel curare una politica d’intervento statale (protezioni doganali, concorsi, lavori pubblici) a favore dello sviluppo economico del Nord, non solo dimenticarono il Sud, ma con una continua ostilità, strana, gelosa, pervicace, dal 1861 al 1943 crearono due Italie: la prospera e la depressa. Solo il governo De Gasperi si decise a lanciare la Cassa per il Mezzogiorno, primo atto complesso e serio di solidarietà nazionale”.
Quindi Sturzo rivendicava una tradizione positiva dell’impresa privata nel Meridione e desiderava la sua ripresa per contrastare la pericolosa tendenza delle imprese pubbliche a espandersi ovunque e specialmente verso Sud. In lui era ben chiara la distinzione fra gli interventi legittimi e illegittimi dello Stato in economia. Infatti: "Per me lo statalismo è la degenerazione sistematica dell’intervento statale in campi non propri o per provvedimenti lesivi dei diritti dei cittadini. (….) Ora a me sembra che l’on. Saragat (e non solo lui) parlando della questione meridionale non fa differenza fra gli interventi statali legittimi e quelli illegittimi. Fra i primi sono le facilitazioni creditizie, specie oggi che lo Stato ha di fatto il monopolio delle banche, e gli interventi americani sia a fondo perduto che con prestiti di favore. Il tipo nuovo di intervento legittimo è quello della Cassa per il Mezzogiorno. Nessuno di tali interventi ha carattere privato; nessuno li definisce quale atto di statalismo. Invece fra gli illegittimi metto le iniziative di imprese industriali, tipo Iri ed Eni, nonché i nuovi enti di gestione, i quali nella generalità sono controproducenti e dannosi all’economia e alla politica del Paese."
La dura lotta del sacerdote di Caltagirone contro l’espansione del potere politico nel tessuto industriale del Paese aveva una motivazione morale ancor prima che economica. Egli era convinto che quanto più denaro sarebbe passato per le mani degli uomini politici tanto maggiori sarebbero state le tentazioni di farne un cattivo uso, per lo più a fini di bottega (personale o partitica) anziché per obiettivi orientati al bene comune. Per lui lo Stato non poteva essere allo stesso tempo arbitro e giocatore, perché avrebbe finito per arbitrare male e giocare peggio. Vedeva poi la mafia ai bordi del campo, prontissima a entrare in gioco per condizionarlo e cambiarlo a suo favore.
Dopo avere elencato nell’articolo una lunga serie di esempi positivi del lavoro svolto delle imprese private nel Sud e di esempi negativi del lavoro compiuto dalle imprese pubbliche, Sturzo conclude con un severo giudizio rivolto ai suoi mancati eredi democristiani: "Spero che l’on. Saragat si persuaderà che il Mezzogiorno non è la terra barbara che egli suppone, né la terra ingrata che non produce, né la terra che aspetta che tutto sia fatto (il Signore ce ne liberi) dallo Stato socialista; e neppure, penso io, dallo Stato DC, dato lo statalismo che vi soffiano dentro i sinistri e gli attivisti".
Pertanto già nel 1958, quando il Ministero delle Partecipazioni Statali era ancora alle prime "armi", Luigi Sturzo vedeva con preoccupazione la crescita dello "Stato DC" per il gran desiderio della sinistra democristiana di "fare impresa" e di portare quindi la politica in pieno conflitto di interessi con l’economia privata. Eravamo allora a pochi anni dallo spianare la strada alle nazionalizzazioni e all’ingresso nel governo e nella cultura del Paese di forze politiche contrarie all’economia di mercato. Non vi è dubbio che l’apertura della DC a sinistra – apertura prevista e tanto temuta da Sturzo – abbia contribuito ad ampliare il divario economico tra Nord e Sud, perché è stato soprattutto il Mezzogiorno la terra di conquista dell’impresa pubblica.
Oggi sono in tanti a criticare il conflitto d’interessi dell’economia nella politica, ma si dimenticano che questo passaggio è stato favorito dal conflitto inverso, che ha dominato e danneggiato l’Italia per circa 40 anni. Se dagli anni 50 in poi avessimo seguito l’esempio tedesco dell’economia sociale di mercato, con lo Stato arbitro e non giocatore come "invocato" da Sturzo ai democristiani, oggi l’Italia sarebbe un Paese migliore e con la "questione meridionale" risolta. Ma la soluzione è sempre possibile, purché si torni sui percorsi suggeriti in centinaia di articoli dal più lucido meridionalista che l’Italia abbia mai avuto.
(Giovanni Palladino, presidente Ciss – Centro internazionale studi Luigi Sturzo)