L’avvio delle nuove legislature regionali ci induce a proporre alcune riflessioni in merito a principi e valori quali sussidiarietà e bene comune, espressioni dell’intera verità sull’uomo e finalizzati alla promozione di ogni singolo soggetto della comunità sociale senza alcuna distinzione. E non solo, sostenendo un dibattito come sulle tematiche relative alla tutela della vita nascente, centrate sul ruolo della famiglia, e favorendo lo sviluppo della rete partecipativa sociale secondo sussidiarietà. In altri termini, individuando riflessioni comuni e valori oggettivi che inducano a favorire mutamenti di comportamenti sociali da stranieri morali in amici morali.
Il compito delle società
Secondo il principio di sussidiarietà (subsidium), tutte le società di ordine superiore devono aiutare, sostenere e promuovere lo sviluppo di quelle minori. E’ assoluta l’esigenza di riconoscere il valore dei rapporti tra individui e tra società intermedie, ovvero della società civile nella quale promuovere la dignità di ogni persona prendendosi cura della famiglia, dei gruppi, della associazioni, delle realtà territoriali locali. Come riportato nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa “il principio di sussidiarietà protegge le persone dagli abusi delle istanze sociali superiori e sollecita queste ultime ad aiutare i singoli individui e i corpi intermedi a sviluppare compiti. Questo principio si impone perché ogni persona, famiglia e corpo intermedio ha qualcosa di originale da offrire alla comunità.” Altrimenti la deresponsabilizzazione sociale comporta la “perdita di energie umane” attraverso l’annullamento dello spirito di libertà e di iniziativa.
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La lezione di tocqueville
Il principio di sussidiarietà è richiamato come riferimento nella organizzazione sociale da Alexis de Tocqueville ne La democrazia in America, anche senza definirlo così come viene oggi richiamato e da Antonio Rosmini che, nella Filosofia politica, così sottolinea: "[…] il governo civile opera contro il suo mandato, quand’egli si mette in concorrenza con i cittadini, o colla società ch’essi stringono insieme per ottenere qualche utilità speciale; molto più quando, vietando tali imprese agli individui e alle loro società, ne riserva a sé il monopolio".
Quanto sopra ricordato significa che lo Stato ha il compito di fare ciò che i cittadini non possono o non sono in grado di fare e ciò rappresenta la sussidiarietà orizzontale mentre la sussidiarietà verticale si traduce nel fatto che, con meccanismo a cascata, le Regioni faranno quello che non fa lo Stato e, così progressivamente, le Città metropolitane, la Provincia, il Comune. Si evince che una formulazione eminentemente verticale del principio in oggetto rischia la deriva nello statalismo o nell’assistenzialismo mentre la coniugazione con la sussidiarietà orizzontale ne assicura senso e significato profondamente etico.
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il ruolo dei cittadini
In base alle Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, all’art. 118 modificato "[…] Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà". Sinteticamente possiamo dire che il principio di sussidiarietà afferma che le società superiori debbono rispettare l’attività relativamente autonoma dei gruppi inferiori o intermedi e che le stesse hanno l’obbligo morale di aiutare le società inferiori quando queste ultime non hanno la possibilità di raggiungere da sole gli obiettivi prefissati.
E’ evidente che la sussidiarietà, per poter concretizzarsi e realizzare dei risultati, riconosce a fondamento della sua intrinseca costituzione gli ineludibili principi di libertà e di responsabilità. La libertà rappresenta il fondamento del riconoscimento della sussidiarietà e rappresenta anche il fondamento perché si possa concretizzare nell’azione la sussidiarietà stessa. Se lo Stato riconosce che i c.d. gruppi inferiori o società inferiori possono autonomamente realizzare determinati obiettivi, significa che riconosce nella libertà il riferimento e perché le associazioni, i movimenti, le fondazioni, le microaggregazioni, etc. possano agire devono anch’esse riconoscere nella libertà il principio fondante. E’ sufficiente richiamare la libertà come principio primo ed assoluto? Si richiederebbe a tal proposito una più ampia riflessione in ambito di filosofia politica.
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Responsabilità e libertà
Comunque perché la libertà possa essere valore di riferimento, necessita assolutamente della coniugazione con la responsabilità. Se la libertà non si coniuga con la responsabilità si trasforma in un non valore in quanto nichilista, soggettivista e relativista. Ma procediamo per gradi. Abbiamo detto che alla base della sussidiarietà si riconosce la libertà. Ebbene lo Stato riconosce la libertà anche perché la sussidiarietà possa realizzarsi, ed infatti entrambe non sono attuabili nei regimi c.d. totalitari o assolutisti. Eppure il significato così ricorrente della libertà di o della libertà da non può soddisfare la visione personalista delle relazioni sociali e della promozione della vita.
La libertà intesa come libertà di o libertà da, senza ulteriore declinazione, ci allontana dalla relazione con l’«altro» trasformandoci in soggetti irrelati, stranieri morali, soggettivisti e relativisti. La libertà è scelta ricorrente sulla base di valori oggettivi, è fondata sulla relazione, è coesistenza. Per fondare prima la solidarietà e poi la comune-unione, deve essere declinata come libertà per. Infatti solo la libertà per ci apre all’«altro» e all’«oltre» nella «presa in carico», nella «cura». Nella libertà per lo straniero morale diventa amico morale e la sussidiarietà assume ulteriore valenza di etica sociale.
Tuttavia non è sufficiente declinare libertà senza responsabilità. Nella responsabilità si giustifica, ulteriormente, la cura della persona perché significa (rem ponderare, respondere) farsi carico dei bisogni e delle fragilità. Potremmo a questo punto concludere affermando che i percorsi di promozione e tutela della vita si sostanziano di moralità quando la sussidiarietà, alla base della formazione ed organizzazione sociale, riconosce nella libertà e nella responsabilità ineludibili riferimenti.
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La tutela della vita
Abbiamo illustrato i principi di riferimento dei percorsi di promozione e tutela della vita e detti principi si prefiggono un fine: riconoscere la vita come bene, o meglio come bene comune. Detto in altri termini, riconoscere il valore intangibile di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale. La promozione e tutela della vita non possono rappresentare il solo impegno di singoli o di microaggregazioni sociali ma devono costituire il comune denominatore della società, fondato sulla corretta interpretazione di vita umana come bene comune, distintamente da quella ad impostazione teleologica-utilitaristica di bene pubblico.
Ricordava Antonio Rosmini nell’opera Filosofia del diritto a proposito del bene comune: "è il bene di tutti gli individui che compongono il corpo sociale e che sono soggetti di diritto", e del bene pubblico: "è il bene del corpo sociale preso nel suo tutto". La conseguenza della confusione spesso ingenerata da improprie interpretazioni, non solo terminologiche ma soprattutto concettuali, è che "il principio del bene pubblico sostituito a quello del bene comune, è l’utilità sostituita alla giustizia; è la politica che, prese nelle sue mani prepotenti il Diritto, ne fa quel governo che più gli piace".
Pertanto bene comune come insieme delle condizioni etiche-sociali-economiche-politiche che favoriscono lo sviluppo integrale della persona. Sulla base dell’antropologia personalista di riferimento e dei valori correlati (difesa della vita e totalità della persona, libertà e responsabilità, sussidiarietà e bene comune) si evince che bene comune previo da tutelare è quello della vita, massimo bene e requisito essenziale di ogni altro bene. Ne consegue che presupposto e finalità dei percorsi di promozione e tutela della vita di ogni essere umano è quello di riconoscerla, rispettarla e non riduttivamente concederla o attribuirla.
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La società di maritain
Concludiamo con una citazione di Jacques Maritain da La persona e il bene comune: "[…] Così il fine della società non è il bene individuale né la collezione dei beni individuali di ognuna delle persone che la costituiscono. Una simile formula dissolverebbe la società come tale a beneficio delle sue parti: essa ritornerebbe o ad una concezione apertamente anarchica, o alla vecchia concezione anarchica larvata del materialismo individualista, secondo la quale tutto il dovere della città è di vegliare al rispetto della libertà di ognuno, mediante cui i forti opprimono liberamente i deboli.
Il fine della società è il bene della comunità, il bene del corpo sociale. […] Il bene comune della città non è né la semplice collezione dei beni privati, né il bene proprio d’un tutto che (come la specie, per esempio, riguardo agli individui, o come l’alveare riguardo alle api), frutta a sé solo e a sé sacrifica le parti. […] il bene comune della città implica ed esige il riconoscimento dei diritti fondamentali delle persone (e quello dei diritti della società familiare dove le persone sono impegnate in modo più primitivo che nella società politica) e comporta esso stesso come valore principale la più alta accessione possibile delle persone alla loro vita e alla loro libertà di sviluppo, e alle loro comunicazioni di bontà che a loro volta ne procedono".
copresidente nazionale
(Associazione "Scienza & Vita")