La crisi economica mondiale iniziata nel 2008 ha messo in luce, in modo ancora più acuto rispetto al recente passato, il grande divario nello sviluppo economico che esiste tra il Nord e il Sud del nostro Paese. Il già fragile tessuto produttivo del Mezzogiorno, infatti, è stato messo alle corde da una crisi finanziaria che ne ha accentuato i problemi di debolezza strutturale, soprattutto in termini di competitività e di produttività.
Nuova forza ai politici
Questo ulteriore duro colpo ha “forzato” politici ed istituzioni a puntare nuovamente l’attenzione verso la ricerca di possibili soluzioni che, in una prospettiva a lungo termine, possano garantire il definitivo superamento di questo ormai annoso problema. Tra le soluzioni per lo sviluppo Sud, un importante contributo è sicuramente quello legato al tema dell’innovazione. Che l’innovazione sia ad oggi riconosciuta come un fattore indispensabile per la crescita e lo sviluppo di un sistema economico, con particolare riferimento alla competitività delle imprese, è un fatto ormai consolidato. Per averne un riscontro pressoché immediato, basta confrontare l’Indice sintetico dell’innovazione in Europa, Stati Uniti e Giappone1 con l’Indice globale di competitività2 per capire che esiste una relazione diretta tra capacità di competere e capacità di innovare.
Realtà non virtuale
Molto spesso però, nel dibattito pubblico del nostro Paese, quando si parla di innovazione lo si fa in termini molto astratti, dimenticando quasi sempre la necessità di sviluppare dei paradigmi concreti in grado di calarsi nelle specificità socio-economiche dei territori. Questo è tanto più vero quando si parla di innovazione nel Mezzogiorno, il cui tessuto produttivo è caratterizzato in massima parte da medie e piccole imprese: come è noto, infatti, le Pmi hanno forti difficoltà nell’affrontare i costi per fare innovazione.
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Quali modelli concreti, dunque, posso essere proposti per far fronte a questa specificità? Una prima risposta a questa domanda può essere trovata nel concetto di Open Innovation. In questo modello, l’economicità e la sostenibilità del processo innovativo è indotta dalla ricerca all’esterno dell’impresa di soluzioni tecnologiche già esistenti. E’ questo il principio su cui si basa la teoria di Henry Chesbrough, docente alla Harvard Business School, che sottolinea l’importanza per l’impresa di creare un sistema di relazioni con l’esterno che consenta scambi di tecnologie e che si contrappone alla closed innovation, ovvero all’idea di innovazione che punta sulla ricerca e sviluppo interna, caratterizzata da una maggiore onerosità.
L’importanza delle relazioni
Nel processo di innovazione, quindi, diventa primaria per l’impresa la necessità di identificare delle relazioni, delle fonti, degli strumenti da cui e attraverso cui ottenere informazioni relative allo scambio tecnologico. A questo punto però sorgono due ulteriore domande: come individuare le fonti e quali strumenti utilizzare a tale scopo? La risposta relativa alle fonti attinge alle ricerche del russo Genrich Altshuller, padre della mediologia Triz (in italiano "Teoria per la Soluzione Inventiva dei Problemi") per l’innovazione sistemica. Altshuller condusse uno studio che lo portò ad analizzare oltre 400.000 brevetti e alla conclusione che il 98% delle invenzioni utilizzavano gli stessi principi solutivi e tecnologici già noti.
Solo il 2% delle invenzioni rappresentavano soluzioni pionieristiche. Di conseguenza, l’esplorazione di banche dati brevettuali o di banche dati create ad hoc da consorzi o distretti di imprese rappresentano importanti fonti per lo scambio tecnologico.
Triz e le fonti
Sempre nella metodologia Triz è indicato il modo con cui utilizzare queste fonti per estrarre le informazioni utili alla creazione di soluzioni innovative: in sostanza soluzioni concettualmente identiche possono essere applicate a problemi tecnologicamente apparentemente diversi. In altre parole si può affermare, nella maggioranza dei casi, che qualcuno ha già risolto un problema simile a quello che ci si trova ad affrontare.
Per questo motivo, attraverso un’opportuna decontestualizzazione del problema pratico, finalizzata alla creazione di un modello generale del problema, si identificano soluzioni al modello generale e si generano soluzioni concettuali che vengono infine ricontestualizzate nel contesto specifico da cui si è partiti.
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Il caso geox
Un esempio che chiarisce questa metodologia e che viene presentato come caso di studio per eccellenza in Italia quando si parla di Open Innovation e Triz è il caso Geox, che ha individuato nel tessuto utilizzato per le tute spaziali la soluzione al problema di impermealizzazione e ventilazione delle suole delle scarpe. Da ultimo rimane l’interrogativo sugli strumenti necessari per strutturare lo scambio di informazioni. In questo caso la risposta è semplice: tecnologie Ict. L’impiego delle tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni, infatti, consentono lo scambio veloce ed economico delle informazioni.
In conclusione, considerata la strategicità del ruolo dell’innovazione come strumento di sviluppo strutturale per l’economia del Mezzogiorno (grazie soprattutto all’influenza che essa ha sulla capacità di competere le imprese), una ricetta concreta per la sua attuazione, che tenga in conto la specificità del suo tessuto produttivo, potrebbe basarsi su concetti, metodologie e strumenti quali Open Innovation, Triz e Ict. Magari con iniziative patrocinate dalle pubbliche amministrazioni locali.
(di Francesco Saverio Profiti, fellow e responsabile Innovazione & New Media Centro Studi Tocqueville-Acton)