Quello della sanità è uno dei pochi ambiti ampiamente affidati alla competenza delle regioni ed è qui, in larga misura, che si gioca quindi la possibilità per una nuova amministrazione di mettersi davvero al servizio della società, offrendo anche una qualche discontinuità rispetto alle logiche stataliste, corrotte e alla fine del tutto inefficienti che hanno caratterizzato gli ultimi decenni. Non soltanto una quota assai rilevante dei bilanci regionali, al Nord come al Sud, è assorbita dal finanziamento degli ospedali, della distribuzione dei farmaci e delle cure mediche, ma è anche su tali questioni che più viva è l’attenzione dell’opinione pubblica.
Un teatro di prosa malgestito è una cosa molto spiacevole, ma un ospedale in dissesto può causare conseguenze ben peggiori, dal momento che può comportare morte e sofferenze per tante persone. Anche se le regole generali sono fissate dalla Costituzione e da leggi statali, in amvito sanitario per le differenti realtà regionali vi è per giunta un’ampia possibilità di sviluppare politiche efficaci e responsabili, che vadano incontro alle esigenze fondamentali della società.
In questo senso, è necessario partire da un dato di fatto difficilmente contestabile: e cioè che esiste ormai da tempo un “modello Lombardia” che – nel quadro italiano – ha saputo offrire soluzioni interessanti e meritevoli di attenzione. La scelta cruciale, che ha messo in moto un significativo rinnovamento delle cure sanitarie nella maggiore regione settentrionale, è stata quella di sviluppare una sostanziale parità tra strutture pubbliche e private.
In sostanza, in Lombardia il semplice fatto di essere iscritti al sistema sanitario permette di accedere non soltanto alle strutture pubbliche, ma anche a una vasta rete di cliniche e realtà ospedaliere private, in quanto queste ultime sono convenzionate con la Regione. In tal modo, il cittadino ha una più ampia possibilità di scelta e tutte le istituzioni sono chiamate a competere nella soddisfazione del pubblico.
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Il modello, ovviamente, presenta più di un limite, soprattutto perché è sempre presente la possibilità che vi siano frodi e abusi. Se chi paga è un soggetto pubblico, l’incentivo a controllare che i servizi siano effettivi e abbiano davvero il costo loro attribuito è assai limitato. Per questo motivo è indispensabile che vi sia la massima trasparenza e pubblicità per ogni atto regionale, assunto da politici o da funzionari. Nell’insieme siamo comunque di fronte a un superamento del sistema stato-centrico e monolitico che caratterizza la sanità nel resto del Paese, ed è esattamente questo fattore che è all’origine delle molte punte di eccellenza della sanità della Lombardia e del notevole flusso di malati che accettano di fare anche un lungo viaggio per essere curati in quella regione.
Un pregio fondamentale del sistema sanitario lombardo sta anche nel fatto che, avendo lasciato grande spazio ai privati, ha favorito la crescita e l’espansione di una serie di realtà imprenditoriali (cattoliche, ma non solo) che sviluppano le loro attività a partire da una precisa idea dell’uomo, del rapporto tra vita e salute, di una precisa filosofia del prendersi cura dell’altro. Come molte importanti studiosi hanno ripetutamente rilevato (si pensi a Ludwig Binswanger e ai suoi scritti sulla malattia mentale), la cura per l’altro non è né può essere un’attività meramente professionale, affidata esclusivamente a competenze tecniche.
Senza una comprensione del ruolo dell’affettività e senza una piena valorizzazione dell’uomo, è impossibile pensare a una società che si in grado di andare incontro alle esigenze di chi soffre e ha bisogno di aiuto. La professionalità è quindi importante, ma va posta al servizio di una più ampia capacità di avvicinarsi a chi ha bisogno.
In questo senso, nessun vero ripensamento del sistema sanitario è possibile se non si valorizzano le culture che animano la vita sociale e se non si pongono quindi al centro la persona e la comunità familiare. " necessario insomma che si impari a sfruttare al meglio la spontanea capacità delle comunità naturali di agire a sostegno di chi più ha bisogno, ed è anche importante che si faccia tutto il possibile per sostenere la creatività imprenditoriale emergente dal basso.
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Per tali ragioni è importante guardare al modello lombardo come a un punto di partenza: in almeno due sensi. In primo luogo, sul piano delle regole generali sarebbe importante iniziare a riscoprire – a ritroso – quei sistemi socio-assistenziali interamente volontari che hanno preceduto la statizzazione operata dal welfare. Come mostra assai bene David Green in un suo saggio sulla sanità inglese di fine Ottocento e inizio Novecento (pubblicato nel volume collettaneo La città volontaria, edito da Rubbettino), molto prima che il ceto politico mettesse sotto il proprio il sistema sanitario esisteva una rete di ospedali e di cure basata sul mutualismo e sulla solidarietà spontanea. Non è detto, insomma, che non vi sia nulla di meglio del sistema sanitario nazionale e spetta proprio alle regioni il compito aprire la strada per vere innovazioni in tal senso.
A tal fine, andrebbero immaginate forme di "uscita", in tutto o parziali, dal sistema pubblico, permettendo di destinare i contributi previdenziali a mutue autonome che entrino in competizione con il servizio sanitario nazionale e offrano un’alternativa meno costosa e più efficiente. Grazie allo sviluppo di queste realtà indipendenti, la stessa sanitaria regionale (anche basata su un sistema pubblico-privato e su una rete di convenzioni) sarebbe indotta a crescere e migliorare.
In secondo luogo, proprio in tal senso è cruciale che si esca dagli schemi di una sanità universale, che è strettamente connessa ad un’idea astratta, spersonalizzata e burocratica di salute. Curare il prossimo non è la stessa cosa che produrre vetture; per questo motivo, se le strutture pubbliche si sono ovunque rivelate fallimentari nella produzione di panettoni o nel recapito della posta (che sono attività in fondo abbastanza semplici), non è strano che si rivelino ancor meno adeguate quando si tratta i farsi carico delle sofferenze e della guarigione di persone. D’altra parte, senza una più ampia visione spirituale e senza una prospettiva antropologica che informino l’azione di quanti operano come medici e infermieri, è difficile che si possano ottenere anche buoni risultati sul piano dell’efficacia tecnica. Anche e soprattutto per tale motivo è urgente riformare con coraggio.