Da Pescara, Maurizio Candelori riflette criticamente su come i mezzi hanno affrontato la tragedia che ha colpito la sua regione e, più di recente, Messina. Sotto il più evidente tentativo di sfruttare anche questi avvenimenti per aumentare la audience, emerge al fondo l’antico sforzo dell’uomo di esorcizzare la morte.
La morte, solo la morte, la morte fisica, la morte tecnica, la morte evitabile, la morte che grida vendetta, la morte straziante di un bambino affogato nel fango davanti ai suoi genitori impotenti, la morte raccontata dalla telefonata disperata ai carabinieri di un marito che ha appena visto la moglie inghiottita da quel plasma mortifero, la morte che spegne la luce sul mondo e getta l’uomo nella disperazione… appunto la necrosi come ultimo atto della vita.
Ecco cosa va in onda in Televisione, la menzogna della disperazione che attanaglia da sempre l’uomo ma che ora si è scoperto essere fonte di audience e, miseria nostra, di soldi! Quasi si scorge un rammarico nei servizi giornalistici nel non poter rinnovare adeguatamente il dramma di L’Aquila, un dramma che aveva tenuto banco per un po’, superando di gran lunga tutti gli altri spettacoli. Anche se in quel caso bisogna riconoscere che all’inizio i media hanno faticato non poco a tradurre l’evidenza del messaggio di speranza che era insopprimibile in molte testimonianze in rabbia e disperazione come si conviene oggigiorno. Fatto sta che ci sono riusciti, ma ormai il calo di tensione era inevitabile e allora si è dovuto transitare per il cosiddetto “gossip” per tenere alta l’attenzione del popolo.
E mentre i media cominciavano a rammaricarsi per mancanza di tragedie, finalmente, ne è arrivata una fresca fresca, nuova di zecca e con tutti gli ingredienti per gettare nello sconcerto, nella rabbia e nella disperazione una sufficiente fetta di popolo italico e non solo; di nuovo una grande occasione per stracciarsi le vesti in TV sdegnati verso qualcuno responsabile di tanto scempio. E allora via zoomando a centellinare le gocce di pianto che solcano i volti dei poveri protagonisti per farli durare di più, per non sprecarli, per essere più efficaci in modo che la triste emozione e la rabbia incolli la gente al teleschermo e faccia audience portando magari un po’ di acqua al mulino della propria parte politica, che è lo stesso che fare cassa.
La morte va in onda come la più grande delle star, quella che, se ben raccontata, non tradisce mai; quella su cui puoi contare per ingrassare i bilanci del proprio padrone e fregiare il proprio curriculum in vista della carriera che, ultimamente, pare essere il vero scopo della vita; una vita da difendere “contro” il collega che potrebbe togliertela, perchè andando in ufficio in macchina ha inquinato l’aria che ha riscaldato l’atmosfera che ha stravolto il clima e piovendo più del dovuto, alla fine ti ha ammazzato.
La morte va analizzata, mica la si può liquidare con il suo annuncio, no no! La morte va descritta tecnicamente e da più gente possibile, magari da quelle persone che hanno visto morire i propri cari qualche ora prima, chiedendo loro, con “alto profilo professionale”, come sono morti, cosa hanno visto, cosa hanno provato in quei momenti, cosa si sentono di dire a coloro che forse sono i responsabili della morte del loro congiunto! Insomma lo scopo è questo, è il solito, quello di far uscire a tutti i costi la rabbia o la disperazione, che poi sono fratelli, da quei poveretti provati dal dolore ancora fresco.
Ma perché questa spettacolarizzazione fa audience? Perché in fondo va in scena l’esorcismo della morte, un bisogno atavico e incosciente dell’uomo senza speranza (la schiera si ingrossa purtroppo), il bisogno di rimuovere questo terrore attribuendone la causa sempre a qualcuno. L’importante è aver un responsabile in modo da tranquillizzarsi sul fatto che mettendo a posto tutto e tutti “la signora” non venga mai più o sia più “giusta” secondo i canoni del comune sentire, magari prendendosi il disabile o il parente in stato vegetativo, cioè gli indegni di vivere.
La natura va rispettata con intelligenza e con cuore, nessuno inneggia allo scempio di essa, ma quello che offende la ragione è il fatto che si combatte con tutte le forze contro la morte del corpo adoperandosi altrettanto alacremente per togliere ogni senso al mondo in cui il corpo dovrebbe vivere, per cui si assiste al paradosso che l’uomo vuole salvare la vita per poi scegliere il suicidio di fronte alla mancanza del gusto di vivere. Nessuna energia sembra impegnata nel tentativo di condurre moralmente la propria esistenza dove è in gioco la salvezza dell’anima… e questa non va in necrosi a differenza del corpo.
Maurizio Candelori, consulente aziendale, Pescara