L’introduzione della sharia in Gran Bretagna, sia pure solo per gli arbitrati accettati da entrambi i ricorrenti, pone molti problemi in prospettiva per tutti. Gloria Capuano ne parla nel suo articolo facendo raffronti con la situazione italiana e con precedenti storici.
Veramente gli attori di questo articolo sono ancora di più, la Sharia, le donne musulmane, Berlusconi, la Magistratura dell’Unione Europea e i nostri giudici costituzionali. Attori minori (si fa per dire) sono Cicerone, Giulio Cesare e perfino, di sguincio, le Tavole di Mosè.
Capisco che la cosa possa apparire alquanto bizzarra, ma non lo è se si considera che la mia mentalità è impostata olisticamente (nulla esiste da solo) e che il mio lavorìo cerebrale è di tipo femminile, impegnerebbe cioè ambedue gli emisferi, con innegabili vantaggi e apparenti, ma forse anche reali sotto certi aspetti, svantaggi. Oppure può essere che il tutto dipenda dalla mia meridionalità che sempre, anche nel dolore e nel più atroce disinganno, presenta un fondo di bonaria ironia.
L’articolo muove i primi passi da una cortesissima lettera della Consulente per i Problemi della Coesione Sociale, dal Presidente della Repubblica incaricata di rispondere ad una mia precedente lettera a Lui indirizzata, dove esprimevo il mio stato d’allarme per avere l’Inghilterra introdotta la Sharia nella figura giuridica dell’arbitrato, perfino con l’avallo dell’Arcivescovo di Canterbury. Rammento al lettore che la Sharia è prevista nell’arbitrato in quanto riguarda il contenzioso tra uomo e donna, un “ambito cioè circoscritto”. Solo che lo dirime secondo ben distinte regole che stabiliscono ciò che rientra nelle pertinenze maschili e altrettanto per le femminili. Purtroppo però tali regole sanciscono diritti privilegiati spettanti al maschio e diritti subordinati imposti alla femmina. Insomma si tratta di una gestione della giustizia ancora ferma allo scontato presupposto che la donna debba essere soggetta totalmente al marito (o probabilmente al padre e ai fratelli).
Ciò che ha reso possibile l’incredibile contaminazione giuridica è stato proprio il suaccennato àmbito “limitato“ di pertinenza dell’arbitrato. In questo assetto infatti vengono trattate questioni familiari, riguardanti i costumi, i diritti ereditari, la potestà su i figli, il ripudio, la sessualità, l’adulterio e così via, tutti profili cioè compatibili con quanto compete all’arbitrato. Con l’introduzione della Sharia “limitatamente” a quell’ambito è stato concesso dunque al musulmano di fare ricorso ad un giudice musulmano anzi che britannico.
La gentile Consulente incaricata di rispondermi sull’argomento mi spiega nella sua lettera che la Coesione Sociale include le relazioni interculturali. Mi è parso saliente il seguente passo dello scritto: ”A me pare che si possano trovare tutte le scappatoie che consentano a tutti di vivere in conformità alla propria cultura, se questo rende le loro vite più felici, ma che il limite debba essere chiaro: il rispetto dei diritti umani, gli stessi diritti che vogliamo rispettati fuori dai nostri confini, dovremmo vederli tutelati con fermezza all’interno dei nostri”. In questo stralcio a me sembra che si dica tutto e il contrario di tutto. La Sharia davvero non tutela i diritti umani visto che questi dovrebbero essere goduti senza distinzioni di sorta da ogni essere umano, e può rendere sì più felici, ma solo –anche se fallacemente- chi tra gli umani appartenga al sesso maschile.
C’è di più, di ancora maggiore gravità: si può avere titolo di rimettersi a un arbitrato, quindi anche secondo l’Islam e non secondo la Giustizia britannica, solo se è comprovata la libera e concorde scelta di entrambi i ricorrenti. E allora ci si chieda: esiste la possibilità di una libera e concorde scelta di entrambi i ricorrenti? Direi proprio di no. Se la mia opinione è attendibile questa clausola rappresenta una manifesta inaccettabile ipocrisia e ingiustizia da parte dei Soloni inglesi poiché non è necessario essere esperti sugli usi e costumi e regole vigenti in diversi Paesi musulmani per sapere che i ricorrenti entrambi musulmani non sono davvero nello stesso modo e misura liberi e capaci di operare la scelta in questione, quella cioè di un giudice musulmano.. La donna essendo perlopiù totalmente subordinata all’uomo, non può operare scelte di sorta che ne sia consapevole o non.
La deduzione più convincente cui approdo è che per addolcire la turbolenza della cospicua presenza musulmana nel Paese, la Giustizia anglosassone ha gettato alle ortiche la donna musulmana, con ciò riconoscendo e perpetuando la sua condizione d’inferiorità rispetto al maschio, anche in un Paese democratico. In questo dunque consisterebbero i rapporti interculturali?
Per inciso si noti quanto poco noi Italiani abbiamo fatto tesoro dell’esperienza di chi ha una storia assai più datata della nostra quanto a immigrazione incompatibile, e quanto abbiamo trascurato un serio lavoro di prevenzione non imponendo come condizione alla richiesta o al diritto di asilo, l’effettiva volontà e idoneità a integrarsi secondo le nostre leggi e costumi, come fatto concreto e non astrazione teorica.. Noi avremmo potuto farlo, per l’Inghilterra già era forse troppo tardi.
A questo punto entrano in scena la magistratura e Berlusconi. A me pare quanto mai strano che in due Paesi entrambi appartenenti all’Unione Europea, le magistrature si comportino secondo considerazioni politiche, e con un criterio contrastante, e non secondo una giustizia uniforme indenne da partigianerie.
In Inghilterra infatti, per calcolo puramente politico qual è quello dell’oramai facilmente configurabile impotenza nel tenere a freno e ammorbidire la prorompente componente musulmana dei cittadini, si è dunque cancellato la titolarità al godimento dei diritti umani e civili delle donne musulmane, diritti che viceversa dovrebbero essere patrimonio inviolabile da pretendere in tutto il mondo. La Giustizia Inglese in osservanza puramente formalistica delle clausole che regolano l’arbitrato ha dunque avuto un comportamento quanto mai spregiudicato nella sostanza, mentre la Giustizia Italiana, anch’essa per un calcolo politico aggravato da un progetto partitico in opposizione al Governo, nelle persone dei componenti il Consiglio Superiore della Magistratura, ha ritenuto di dover rispettare alla lettera i dettami costituzionali che sanciscono essere la Legge eguale per tutti, senza tener conto del danno inevitabile che da ciò potesse derivarne.
É grazie a questa indiscutibile logica che è stato bocciato il Lodo Alfano ideato allo scopo di permettere al Presidente del Consiglio di ottemperare ai suoi doveri nei confronti degli elettori che lo hanno regolarmente e liberamente eletto. ( Si spiega che il Presidente Berlusconi dovrà spendere gran parte del suo tempo e delle sue energie a difendersi nei tribunali anzi che nel governare il Paese). Tutto questo anche se la decisione dei Giudici Costituzionali non fa una grinza formalmente e sostanzialmente.
Allora l’interrogativo mi pare legittimo: se la Giustizia nei diversi Paesi segue criteri opposti ma simili sotto un profilo strumentale d’ispirazione ora politica ora di rigida osservanza formale o apparentemente sostanziale, ciò mi pare voler dire che la Giustizia non offra certezze neppure nei Paesi democratici e che l’Unione Europea è divisa più che mai, visto che la principale esigenza di uniformità dovrebbe contemplare proprio la Giustizia. E come possiamo, noi dell’Europa unita, predicare ed esigere dal resto del mondo il rispetto dei diritti umani e civili, se nei nostri confini non siamo stati in grado di difenderli, ora nei confronti delle donne, ora nei confronti di un elettorato?
Ecco che la fantasia mi propone il sofferto rapporto di Cicerone e Giulio Cesare. Dovremmo tutti imparare quello che è possibile dalle traballanti verità storiche. Vorrei avere il tempo di studiare la vita e le opere dei tanti personaggi che si sono dati compiti di Governo e/o di Giustizia Sociale, in questo caso Cicerone console, appassionato oratore in difesa della legalità e Giulio Cesare, difficile, complessa criptica personalità, anch’egli fortemente sostenitore della legalità e tuttavia impegnato a sfuggirla, a scavalcarla, nella fase matura della sua vita, per poter realizzare i suoi disegni di sempre più forte e vasta e giusta potenza della romanità. Egli non avrebbe nulla potuto se non avesse tradito la sua stessa esigenza di legalità intralciato e ostacolato com’era da un legalitarismo formalistico, a copertura troppo spesso d’interessi personalistici di dubbia reputazione, dei consoli, degli ottimati.
Sembra che Cicerone abbia sofferto non poco le non poche volte che prese la decisione di non perseguire, al fine di una condanna, l’amico nemico Giulio Cesare, per il frequente troppo disinvolto, illegale comportamento, da questi lucidamente adottato per poter tempestivamente agire, perché aveva compreso che altrimenti avrebbe bloccato ogni ambizioso progetto di rafforzamento della romanità nel mondo e data partita vinta al rigido e fossile formalismo giuridico strumentale dei consoli.
Mi rimangono la Costituzione e le tavole di Mosè. Lontanissimo da me il voler parlare ostentando una sapienza che non posseggo su questo accostamento, me ne mancano sia, come detto, la preparazione, sia tutto il pensato che essa esigerebbe, essendo il mio niente di più che il risultato istintivo di vaghe rimembranze e letture. Dovendo stringere in poche battute l’ipotesi di tale spericolato abbinamento compio come funambola da circo equestre una sintesi grazie all’uso del Computer. Sotto la voce “Costituzione” ho trovato l’invito ai cittadini a esprimersi liberamente in chiave critica e propositiva sulle lacune e sulle idee per cambiare quel che sarebbe da cambiare della Costituzione. Ai miei occhi di aspirante democratica non addetta ai lavori, si è aperto il sipario che esclude il cittadino dal diritto alla sua libera espressione nei riguardi della Costituzione, fino a immaginare che la Costituzione non rappresenti quello che è forse supponibile rappresentassero per gli Ebrei le tavole di Mosè.
L’afflusso di critiche e proposte in Internet è copioso e questo da adito alla riflessione che la Costituzione possa essere figlia dell’epoca in cui è stata concepita e dettagliata, e quindi nel tempo suscettibile di ritocchi e perfezionamenti tesi a seguire o a pilotare un auspicabile sempre maggiore processo evolutivo politico sociale. Diciamo più propriamente processo evolutivo etico totale, quello della fratellanza tra i popoli pur nella conservazione e tutela delle diverse identità e delle minoranze, con un unico inderogabile denominatore comune, quello dei diritti umani.
La Costituzione accompagnerebbe così un cammino lungo, impervio, dolorosissimo, da compiere a piccoli passi. Cammino che potrebbe condurre a quella felicità sociale che tutti desiderano solo se tutte le creature del mondo riusciranno a percorrerlo all’unisono, mediante una strategia di Pace da comunicare capillarmente ovunque. E’ per questo tipo di Comunicazione che mi batto da molti decenni con il mio Progetto per un Giornalismo di Pace.
(E un nostro sentire, in appena accennato sottofondo, dolcemente umilmente trainato da una a volte inconsapevole identità – che l’Europa ha rinnegato – va a un uomo particolare, che insieme alle tante altre creature particolari chiamiamo santi, all’uomo Francesco, per complesse luminose anche se utopiche subliminali consonanze.). Infatti è l’utopia il valore da coltivare con determinazione quale antidoto a un malinteso realismo.
Gloria Capuano, Giornalista di Pace