La morte, nel giro di poche ore, di tre donne molto diverse tra di loro, la cui notorietà si fondava su ragioni altrettanto diverse. Una pura coincidenza, quindi. Oppure, scrive Caterina Misuraca, la morte di Diana Blefari, di Natuzza Evolo e di Alda Merini ci mette di fronte al mistero imperscrutabile della vita stessa.
Sono morte a distanza di poche ore: Diana Blefari Melazzi, Natuzza Evolo, Alda Merini. Tre donne, tre volti completamente diversi. Tre vite profondamente distanti. Diametralmente opposte. Tre “diverse”, come “diversa” volle autodefinirsi la poetessa Merini. Tre archetipi viventi: Poesia (segnalata per il Nobel), Bontà (prossima alla Santità), Male (condannata all’ergastolo).
Si è impiccata nel carcere romano di Rebibbia la neobrigatista Diana Blefari Melazzi detenuta nel reparto d’isolamento del carcere (lo scorso 27 ottobre, la Prima sezione penale della Cassazione aveva confermato la condanna all’ergastolo per la terrorista rossa accusata di concorso nell’omicidio del giuslavorista Marco Biagi, avvenuto a Bologna il 19 marzo 2002 e che partecipò anche all’assassinio di D’Antona). Il suicidio è accaduto intorno alle 22.30 del giorno precedente, ma quando le agenzie di stampa battono la notizia del suo decesso è già il primo giorno di novembre e quasi in contemporanea viene data un’altra notizia.
Da Roma al profondo Sud, in Calabria muore una donna ritenuta da migliaia di persone “Santa”: Natuzza Evolo. Ad 85 anni la “mistica di Paravati” muore nella casa degli anziani all’interno della fondazione “Cuore immacolato di Maria”, il centro polifunzionale da lei fatto costruire con le offerte dei moltissimi visitatori. É ancora il pomeriggio dell’1 novembre e le agenzie battono un’altra notizia, stavolta siamo a Milano: è morta la più illustre poetessa dei nostri tempi, Alda Merini, 78 anni. Era ricoverata nel reparto di oncologia dell’ospedale San Paolo del capoluogo lombardo.
Ci colpisce questa coincidenza, non perché si possa tracciare una riflessione coniugando le tre esperienze, ma proprio perché in questa sconcertante differenza di percorsi, di atteggiamenti nei confronti del mondo, tanto da volerle definire tre archetipi, scorgiamo un mistero imperscrutabile: la vita stessa con le sue contraddizioni che mai cesserà di stupire, nel bene e nel male. Questa è la vita! Fatta di meravigliose occasioni (la meraviglia è qualcosa che stupisce, un prodigio non necessariamente bello ma anche inquietante. Anche un orrore può meravigliare, nel senso che è capace di creare sconcerto). Questi tre aspetti “straordinari” della vita (straordinari, nel senso di rari, unici rispetto alla norma) ce li troviamo di fronte per un attimo nella stessa giornata, con tutta la forza e complessità delle rispettive esperienze e di quello che comportano. Con tutta la gamma di sentimenti e conseguenze che da tutti e tre quegli “straordinari passaggi” viene a innescarsi nella vita che quotidianamente scorre, trascinando tra indifferenza e assuefazione piccole esperienze di gente per bene, mediocrità, malfattori, bene, male, poesia, amore, passione, arte, follia, solitudine, malattia, speranze, lotte, sconfitte, mete, traguardi, aspettative, fallimenti …
Così, in questa “occasione straordinaria” ci fermiamo per un attimo semplicemente ad osservare l’infinita lotta tra Bene e Male che la Poesia di tutti i tempi ha sfiorato: “Lume v’è dato a bene e malizia, e liber voler”, (Dante – Purgatorio Canto XVI). E dalla nostra quotidiana normalità guardiamo al prodigio, sia esso meravigliosamente bello o terribilmente inquietante. Semplicemente guardiamo come davanti ad un grande affresco metaforico della vita. Come un dipinto dai toni irruenti del Caravaggio che in questo caso racconta di tre donne. Tre archetipi. E guardiamo.
Caterina Misuraca, giornalista free-lance