Le domande esistenziali che si poneva il pastore errante dell’Asia rimangono inalterate nel tempo, scrive Anna di Gennaro, e la pazienza per cogliere chi sono e cosa faccio al mondo è un grido simile all’”URLO” di Munch. La nuova generazione di studenti sembra sentire tutto questo molto più di quelle di un tempo.
Le domande esistenziali che si poneva il pastore errante dell’Asia mentre riposava dalle fatiche diurne e ammirava il cielo stellato rimangono inalterate nel tempo e ciascuno di noi – a volte inconsapevolmente – se le pone desiderando la felicità e la piena realizzazione della propria vita anche attraverso l’apprendimento. Tuttavia occorre prendere atto e constatare che il 43° rapporto CENSIS indica drammaticamente che l’80% degli studenti non ha fiducia nella scuola e fatica a trovare il senso dell’ impegno allo studio e quindi alla conoscenza.
Lo stesso rapporto segnala che scuola e famiglia non dialogano sufficientemente ed anzi – aggiungo per esperienza – sempre meno proprio negli anni cruciali della crescita notoriamente denominata adolescenza. Se alle elementari le assemblee di classe vedono presenti quasi tutti i genitori compresi parecchi papà, alle medie se ne trovano sempre meno. Quando poi si entra nelle superiori ci si rapporta singolarmente solo col docente con cui tuo figlio non ha feeling o non riesce ad ottenere la sufficienza. La mia esperienza di consiglio d’Istituto e giunta esecutiva da genitore conferma lo spegnersi di un’attrattiva di collaborazione non solo dei genitori tra loro ma anche tra gli insegnanti stessi. Ne deriva un’identità frantumata e scissa del giovane studente, che somiglia maggiormente ai personaggi pirandelliani in cerca d’autore.
Eppure lo studente è uno e irripetibile esattamente come ciascuno di noi. É dotato di intelligenze multiple, come Gardner ha illustrato ampiamente: occorre quindi far leva su quelle più sviluppate della sua mente senza dimenticare la dimensione corporea. L’avvento del web ha permesso di diffondere facilmente statistiche e dati percentuali che – probabilmente – restavano oscuri sino a pochi anni or sono quando i segnali di implosione del sistema scolastico erano presenti unitamente all’obsolescenza di cui soffre l’intero apparato scolastico e di cui il libro LA SCUOLA E’ FINITA…FORSE di Giovanni Cominelli enuncia le motivazioni storico culturali di un apparato pachidermico e sempre più malato, oserei dire (s)finito, e giunto alla resa dei conti: non quelli di Tremonti s’intende.
Se il testo diagnostica la patologia, ciascuno ne può intravedere anche la cura a partire dall’osservazione sistematica delle varie realtà territoriali urbane ed extra urbane. É la sinergia col territorio a costituire il quid che fa la differenza e laddove il dirigente scolastico dirige l’orchestra scolastica la melodia si diffonde in ogni aula. Il rapporto CENSIS disegna uno spaccato impietoso, che riporta alla domanda essenziale: a cosa serve la scuola? Se lo domandano soprattutto i bambini, meno i grandicelli che hanno smesso di volare alto e di guardarsi attorno incuriositi. Perché?
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Un fatto è certo: i ragazzi che osservo sui mezzi di trasporto pubblici e ascolto dialogare parlano più o meno degli stessi argomenti di sempre. La fatica dello studio poco riconosciuta dal tal docente e il voto non corrispondente alle aspettative, la fatica di concentrarsi in classe soprattutto durante alcune ore, lo zaino pesante e l’impiccio di dover relazionare ai genitori la giornata scolastica o, peggio, la valutazione negativa da rimediare per non correre il rischio della bocciatura. Meglio divagare per non pensarci troppo, condividere il senso d’inadeguatezza li fa sorridere e un po’ di chiasso serve a percepirsi meglio come presenza di gruppo. L’importante è sentirsi parte di qualcosa di molto vago, meglio del nulla e del vuoto, della solitudine superata solo online.
Chi oserebbe spegnere quell’innato desiderio di sapere “animalesco” di cui Hillman tratta nella sua lettera agli insegnanti italiani del 2002?
Ma osservo anche i docenti che li accompagnano in metropolitana per raggiungere il luogo della visita, probabilmente un museo. Frequentano le scuole medie e le due insegnanti presenti, a turno, li richiamano a non alzare la voce e a rimanere compatti per scendere alla fermata giusta. Hanno chiesto autorizzazioni ai genitori e seguito un iter burocratico ad hoc che farebbe desistere chiunque non avesse a cuore quell’uscita di poche ma intense ore di responsabilità sotto tutti i punti di vista. Quell’uscita didattica preparata con cura e precisione nei dettagli allo scopo di raggiungere alcuni obiettivi, sicuramente multidisciplinari, resterà nel cuore. La scuola è vita. Non solo rimanere seduti nei banchi dunque, ma anche visitare siti storici, partecipare ad iniziative sportive: camminare per le strade per toccare con mano la realtà, quella reale non solo virtuale.
La pazienza per cogliere chi sono e cosa faccio al mondo è un grido simile all’URLO di Munch, che la nuova generazione cerca ora molto più di quattro decenni fa, quando gli studenti cominciavano a sentire stretta, opprimente e ingiusta la scuola; sorpassata la relazione familiare. Ma sono passati decenni e ora l’immobilismo porge il conto, molto salato.