Quando Natale accade… Non solo nella memoria che ne facciamo, per cui Gesù rinasce tra di noi per restare con noi, ma quando te lo trovi davanti, in una piccola luce in fondo a una via… Una cosa da poco in sé, ma che ha significato molto, moltissimo per Mariel Righetti quella vigilia di Natale.

La processione dell’Immacolata si snodava lungo le vie della contrada. Come sempre, sui davanzali delle finestre, sui muretti dei giardini, lungo le strade, splendevano le fiammelle dei ceri che la devozione popolare aveva acceso per onorare il passaggio della sacra manifestazione.

Quella volta avevo deciso di parteciparvi per chiedere una grazia a Maria. Si fa sempre così quando si vive la fede con le radici ben piantate nelle cose terrene. In quegli ultimi mesi ero completamente assorbita dai problemi dell’azienda in cui lavoravo, che andava sempre più precipitando nel baratro del fallimento e vivevo momenti di angosciosa impotenza verso l’inesorabile avvicinarsi dell’irreparabile. Non mi rassegnavo tuttavia ad accettare quella fine, al di là della quale non riuscivo a vedere che un inferno di sofferenze morali e materiali.

Pregavo Maria con tutte le mie forze, che ciò non succedesse e la risposta mi venne improvvisa, inaspettata. Sulle prime ne rimasi sconvolta: ebbi la netta coscienza che non era ciò che io chiedevo. Proprio ciò che io supplicavo non accadesse, doveva accadere; era attraverso quella sofferenza che doveva realizzarsi il disegno di Dio, che allora non potevo capire né immaginare. Maria mi fece intendere così bene la volontà del Suo Figlio che, nonostante al momento mi agghiacciasse, la sentii talmente inequivocabile, quasi ragionevole, da essere inevitabile.

Dove abitavo era per me il posto più bello del mondo. Una casetta bianca a mezza costa, di fronte alla distesa azzurra del mare. Un piccolo giardino profumato di oleandri e di rose, dove Rudy, il mio cane cirneco, corre felice col suo amico Tobia.

A pochi passi, in una piccola piazza, c’è un’antica chiesetta, così raccolta e familiare da sentirsi veramente a casa. La notte di Natale, nella piccola piazza viene eretta, sotto un ulivo, una capanna di paglia con la Natività. La scena è estremamente semplice, senza pretese, ma la commozione è grande. Tutta la contrada mi dà l’impressione di un grande presepe quando, la sera, rientrando, vedo quelle luci sulla collina e un senso di gioia tranquilla e di pace mi pervadono. Non vorrei essere in nessun altro luogo della terra, vorrei poter vivere sempre qui, in questa semplicità, tutta la vita. Invece, negli ultimi tempi, un senso di angoscia e di tristi presentimenti mi stringono il cuore in una morsa quando intraprendo i pochi tornanti che salgono la collina. Oggi, quando Rudy mi è corso incontro, come sempre, al cancello, felice per il mio ritorno, gli ho detto piano, con gli occhi pieni di pianto e un nodo alla gola: “Sai, non potremo più stare qui, non sarà più nostra questa casa…” Lui ha capito e siamo entrati in casa, insieme, in silenzio, con la morte nel cuore.

Caricate sull’auto quattro valige, la mamma e Rudy, lasciamo la nostra casa. È inverno, ma il cielo è di un sereno perfetto e il sole splende caldo sull’azzurro del mare. La mamma è tranquilla, ha visto un po’ di trambusto, ma niente di più. Crede di partire solo per un breve periodo. Io non oso guardarla o parlarle, perché un nodo mi stringe la gola e poi, che cosa dirle? So che non potremo più ritornare qui, che non abbiamo più una casa dove vivere tranquille e non so quale sarà il nostro destino. Rudy, al contrario, col sesto senso degli animali, capisce ed è agitatissimo. Non vuole assolutamente partire e in auto sembra impazzito e mi combina un mare di guai.

La nostra vicina è venuta a salutarci portandoci ogni ben di Dio per il viaggio, con l’affetto e la generosità di questa gente. Così la commozione è ancora più grande e il distacco più doloroso. La mia casa dove vivevo felice mi si strappa dal cuore mentre ci allontaniamo. Passando davanti alla chiesetta, mi sale dall’anima un grido: “Dio, dammi la forza di andar via, vieni con me, non mi abbandonare!”

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Sono finita in mezzo ai monti, all’estremo confine del paese: a me sembra l’estremo confine della terra. L’esilio è completo. Distacco totale da tutto, a cominciare dal mio habitat naturale: il mare; distacco dalla gente, fino ai più semplici rapporti umani con le persone. Qui parlano tedesco, lingua che non conosco. Cercherò di impararlo.

 

Essendosi presentata una minima possibilità di lavoro per l’inverno, a pochi chilometri da qui, in montagna, trovo in paese un minuscolo alloggio presso una famiglia gentile ed accogliente, unico faro di calore umano in mezzo a tanta tristezza. È il primo segno della mano divina che, per il momento raccolgo, ma senza troppa attenzione.

 

Affronto quindi il lavoro, con la speranza di restituire alla nostra vita un minimo di normalità. Invece mi trovo di fronte a difficoltà che non avevo valutate. Le mansioni non sono le mie solite e la mia salute, evidentemente già provata, non regge. Lo scoramento è sempre più forte e passo le notti a piangere, finché un crollo improvviso nelle mie possibilità fisiche e una forte febbre, mi costringono a lasciare tutto e tornare giù, in paese, da mia madre.

 

È la vigilia di Natale. In casa non c’è nulla. Poche lire per comprare qualcosa, ma i negozi sono tutti chiusi. Non posso far passare a mia madre un Natale così… Mi metto in macchina decisa ad arrivare alla città più vicina per trovare del cibo. Per strada, mi trovo a gridare a Dio di non abbandonarmi. Mai – ho capito dopo – come nel momento in cui esce quel grido, il Signore è vicino.

 

Anche in città i negozi sono tutti chiusi. Non sono pratica del posto e giro a vuoto con le lacrime agli occhi, fin che mi perdo. Finisco in un vicoletto buio, strettissimo – non ho mai saputo quale fosse – ma dove in fondo, improvvisamente, mi appare una piccola luce: un negozietto di gastronomia miracolosamente aperto. Posso comprare qualcosa per festeggiare la nascita di Gesù con mia madre!… Natale accade anche così.

 

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L’inverno freddissimo e senza lavoro si presentava tragico ma, come avrei dovuto ormai aver capito, Dio non mi aveva abbandonata. Nei giorni che avevano seguito il Natale, si erano verificate tutta una serie di circostanze e occasioni, una infinità di episodi quotidiani che, in modo incredibile, mi avevano permesso di far fronte al necessario, dimostrando costantemente, direi addirittura insistentemente, la continua, assidua presenza inequivocabile del Padre.

 

Non è più possibile, a questo punto, attribuire al caso gli avvenimenti quotidiani che mi vengono puntualmente in soccorso. Sento una gratitudine sempre più grande per quanto mi sta accadendo e sempre più tangibile la sua Presenza. Ma il forzato isolamento da qualsiasi contatto amico, persone care, luoghi familiari, mi sta opprimendo fino a sentirmi soffocare. Non si può essere così soli: anche la presenza di Cristo accanto a noi, ha bisogno di essere testimoniata, condivisa.

 

Fra alcune settimane scenderò a valle, in una bella cittadina dove avrò un lavoro che mi permetterà di ritrovare normali condizioni di vita. Questo mi dà sollievo, anche se sarò ancora sola a guardarmi dentro, a valutare le vicende passate, a cercare soprattutto come rispondere a Gesù che mi è venuto incontro così.

 

Trovata una ennesima sistemazione nella nuova località, affronto un periodo di intensa riflessione. Mi rendo conto che per far posto a Dio nel nostro cuore, deve farsi il vuoto in noi e attorno a noi. Il vuoto lasciato dall’amarezza, dalle lacrime, dal dolore cocente fino a sentirsi morti dentro. Il vuoto da tutto ciò che abbiamo, dagli amici, dalle persone care: dobbiamo trovarci soli, isolati da tutti, come in un deserto. Senza talmente più nulla da non restare il minimo granello di cenere su cui poter avere un presupposto per ricostruire qualcosa. Perché a quello pensa Lui. Giorno dopo giorno, riempiendo quel vuoto fino all’inverosimile e la vita riprende, nuova, diversa. Tanto diversa.

 

Finalmente, imprevedibilmente, sul luogo di lavoro, Lui mi si presenta con la grazia di un incontro in carne ed ossa e due occhi chiari, lo sguardo di un padre premuroso. Quegli occhi sono del Gius.

 

Mariel Righetti