Cesare Barbadoro racconta la sua esperienza di incontro con la sinistra sessantottina, una sinistra sostanzialmente non operaia, ma piuttosto d’élite, appunto il “paradosso sessantottino”
Negli anni 60, allora giovane ventenne, con il desiderio di conoscenza per tutto ciò che attiene alla sfera umana che spazia dall’arte, politica, filosofia, religione fino alla scienza e alla tecnica, che in quegli anni si concretizzava con la storica conquista spaziale e lunare, scoprivo anche la bellezza del teatro, più della letteratura, perché attratto da più pratiche e immediate forme di comunicazione come la musica e il cinematografo, in quanto capaci di trasmettere emozioni, tuttora indelebili, come quelle suscitate in quei tempi dai film di Ingmar Bergman. La satira non la conoscevo. Ero convinto che fosse l’Arte di evidenziare e ridicolizzare difetti e debolezze al fine di correggerli; una specie di moralismo più basso ma divertente.
In quell’epoca, attirato dal simpatico umor di Dario Fo, andai a vedere una sua opera in un teatro milanese. Erano gli anni del caso Feltrinelli e Pinelli. All’ingresso in sala, e dopo aver pagato il caro biglietto per le mie povere tasche d’operaio, ero perquisito da persone che avevano il compito di verificare il possesso d’armi! Nell’opera, Dario Fo, esprimeva con eloquenza non comune, ricca d’inventiva e del suo personale talento comico, un’acuta e feroce satira politica. Alla fine dello spettacolo non me la sentii di applaudire. Ho sempre detestato scimmiottare anche a costo di apparire antipatico. Ricordo bene che rimasi seduto in silenzio mentre, in piedi, tutto il pubblico l’applaudiva per quanto si era deliziato e pareva folgorato come se avesse improvvisamente scoperto l’illuminante e granitica verità evangelica de “Il discorso della montagna”. Il mio comportamento era sincero e, coerente con me stesso, civilmente manifestavo la delusione per lo spettacolo rimanendo seduto senza applaudire. Ma mi sentii a disagio nello scoprire di sentirmi osservato e colsi, negli occhi delle persone intorno a me, in piedi plaudenti, un’avversione mal celata che mi faceva sentire in colpa, ostile, nemico loro, fino a percepire odio per la mia eloquente passività. Provai paura!
Quella sera scoprii anche la potenza della ribalta che, oltre ad essere capace di far vivere profonde emozioni che elevano l’anima come le alte e sublimi opere della letteratura e della poesia, mi si rivelava un potente mezzo di divulgazione di pensieri meno nobili, bassi e sleali. Nel suo spettacolo si accusavano personaggi della destra e del centro politico di allora, con a capo Amintore Fanfani, essere i mandanti della morte di Feltrinelli, si accusava la Magistratura e la Polizia di Stato di complicità in questo disegno, si accusava il Commissario Calabresi d’essere responsabile della morte dell’anarchico Pinelli e si descriveva con dovizia di particolari, utili alla sua “verve” comica, le circostanze, il modo dell’esecuzione e la messa in scena del falso suicidio! Ero deluso per la slealtà delle sue infamanti accuse a persone, in quel momento non presenti, e per l’uso vantaggioso che la popolarità gli dava per più efficacemente propagandare i suoi teoremi politici. Più che deluso ero allarmato. In quel clima temevo le certezze, le certezze della sinistra sessantottina contrapposte a quelle della destra violenta. Dopo non molto si realizzò ciò che arroganza, odio politico, fanatismo, intolleranza e ignoranza avevano seminato: l’omicidio Calabresi, il terrorismo nero, le Brigate Rosse, il delitto Moro e i tanti atti di violenza della destra e della sinistra che il nostro tempo ha potuto, ha dovuto dolorosamente conoscere come nefasto.
Ciò che tuttora sorprende è che quella sinistra violenta, non è nata nella classe povera del mondo operaio delle fabbriche, la storica e la più motivata, ma in ambienti dei ceti medi e benestanti, generata e voluta dall’allora nuova sinistra sessantottina, quella esclusiva ed intellettuale delle università: dal Movimento Studentesco ai gruppi di Lotta Continua ecc.. In quella sinistra “d’elite” che la sera si divertiva alla satira politica di Dario Fo. E che venne poi premiato con il Nobel per insigni meriti letterali!
Cesare Barbadoro, tecnico elettronico in pensione