Perché non si fa nulla per fermare lo sterminio dei cristiani? È la domanda che si pone Carmela Cossa prendendo spunto da un saggio di Thomas Grimaux: “Il libro nero delle nuove persecuzioni anti-cristiane”.
È risaputo che per i cristiani la conoscenza è soltanto il tappeto su cui dovrebbe avanzare spedita la carità, forza potente e invincibile che sgorga dal Cuore di Cristo e che anima tutti coloro che vivono, protesi verso l’eternità. Ma la vera carità è a sua volta inseparabile dalla giustizia, che richiede che venga dato a ciascuno ciò che gli compete. Difendere gli oppressori anziché le vittime, ad esempio, dovrebbe essere qualcosa che ripugna ad una retta concezione della giustizia, perché si trova agli antipodi della vera carità. Sono tanti i modi in cui si possono difendere gli oppressori, e uno di essi è quello di minimizzare, di tagliare, di tacere. Fare silenzio di fronte al male che dilaga è come rimanere inerti di fronte ad una malattia mortale, che pure potrebbe essere curata, se soltanto si prendessero in tempo i rimedi necessari. È pertanto questo silenzio una responsabilità assai grave.
Thomas Grimaux, con il suo saggio “Il libro nero delle nuove persecuzioni anti-cristiane”, uscito di recente in versione italiana presso le edizioni Fede e Cultura di Verona, ha fatto egregiamente la sua parte per sconfiggere il silenzio che uccide. Grazie al suo accurato e documentato lavoro, egli ha voluto lanciare un nuovo segnale d’allarme, arrivando a denunciare “un vero e proprio tsunami cattofobico” che sta investendo i cristiani a livello mondiale. L’autore, che ha viaggiato per diversi anni in paesi come la Penisola arabica, l’Africa centrale e orientale etc., dove le discriminazioni e le aggressioni contro i cristiani sono eventi quotidiani, mette in particolare risalto il fatto che le persecuzioni attuali si differenziano nettamente da quelle precedenti non soltanto per l’ampiezza delle cifre e per l’estensione geografica, ma anche per i mezzi che vengono utilizzati e, soprattutto, perché esse oggi si configurano sempre di più come il risultato di un pensiero strutturato e di una strategia istituzionale, che perseguono l’espulsione dei cristiani come un preciso obiettivo politico o religioso, al fine di ristabilire una propria presunta purezza originaria.
Il fondamentalismo induista e buddista, il comunismo e l’islamismo vengono individuati come le tre principali radici da cui scaturisce l’odio contro i cristiani; un odio che, come l’autore dimostra attraverso un gran numero di fatti riportati da agenzie di stampa e da fonti sia cattoliche sia laiche, opera dapprima in maniera sotterranea, mediante una discriminazione attuata in tutti gli ambiti (da quello giuridico a quello mediatico, da quello scolastico a quello economico), per poi manifestarsi in modo aperto e violento, con incendi di chiese, di conventi, di scuole, con aggressioni fisiche, incarcerazioni, omicidi, stragi ed esili forzati, senza che le autorità preposte facciano nulla per impedirlo.
A proposito dell’islam, in particolare, l’autore sottolinea che certamente “non si possono presentare tutti i musulmani come altrettanti fondamentalisti”, così come “non si può pretendere che tutti i cristiani siano dei santi e che nessuno di essi abbia mai commesso atti riprovevoli. Tuttavia, si deve riconoscere che, quando dei cattolici agiscono male, lo fanno trasgredendo il Vangelo e il Magistero romano”, mentre “i musulmani opprimono e fanno stragi invocando il Corano, invocando la sharia”, come testimonia l’Arcivescovo di Atene, capo della Chiesa ortodossa greca, il metropolita Christodoulos. Il genocidio dei cristiani, da una decina di anni a questa parte si è fatto particolarmente virulento e feroce soprattutto nei territori islamici, ma è presente anche altrove, come ad esempio nei Paesi dell’ex blocco sovietico, in Venezuela, a Cuba, in Cina, in India e nello Sri Lanka. Esso però è purtroppo una realtà della cui portata si stenta a prendere coscienza, sebbene sia stata già da tempo resa nota la cifra dell’ammontare dei martiri cristiani del XX secolo: ben 45 milioni e mezzo, su un totale di 70 milioni in duemila anni di storia.
Di questo però si preferisce non parlare. È certamente più comodo limitarsi a ricordare i genocidi passati, per scongiurare i quali, purtroppo, ormai non si può fare più nulla. Ma a che cosa servono le giornate, sia pure meritorie e sacrosante, della memoria, se poi non aiutano ad aprire gli occhi sulla realtà presente, dove i medesimi abusi ed eccidi si ripetono ogni giorno con modalità non meno atroci e disumane? E a che cosa servono gli errori del passato, se da essi non si impara a prevenire quelli futuri, cercando di evitare a questa povera umanità nuove e sempre più terribili sciagure?
Carmela Cossa, traduttrice del libro e docente