Le domande e le richieste di chi vive nella scuola di fronte alla “riforma Gelmini” che presto partirà nelle Superiori: un punto centrale nel dibattito in corso, cui dà un utile contributo il professor Franco Bruschi.

Si legge sui giornali di questi giorni: “Parte la riforma Gelmini. Da settembre una scuola nuova: è la prima volta da quasi 90 anni”. In una nota del Ministero della P. I. si legge: “La riforma dei licei può essere considerata epocale”.

Analizzando i contenuti della riforma si scopre che i licei saranno 6 contro gli attuali 396 indirizzi sperimentali. Il corso degli studi sarà articolato in due bienni più un quinto anno. Le ore settimanali saranno ridotte: meno ore a scuola! Per gli istituti tecnici si prevede la limitazione degli indirizzi e il rafforzamento delle aree scientifiche e tecniche, le ore settimanali diminuiranno di 4. Ci sarà più inglese, più ore di laboratorio, un maggior rapporto col mondo del lavoro. Infine per gli istituti professionali da 5 settori si passerà a due macrosettori: Servizi e Industria-artigianato, anche in questo caso è prevista la riduzione dell’orario settimanale.

Mi chiedo: è giustificato l’entusiasmo, il trionfalismo per una riforma che giunge dopo tanti decenni di attesa? É questo quel che vogliono studenti e famiglie? Meno indirizzi, più inglese, la diminuzione delle ore di scuola? Per rispondere voglio partire da una situazione che è sotto gli occhi di tutti e sulle prime pagine dei quotidiani e poi proporre alcune riflessioni.

Tutto a un tratto ci si è resi conto che nella scuola esistono la violenza e i comportamenti violenti, è quel fenomeno che viene chiamato bullismo. Ma, a parte il fatto che la violenza nelle scuole non è nata oggi, quello di cui non ci si vuole rendere conto, con cui non si vuole fare i conti è il fatto che nella società e nella cultura esiste una violenza più profonda, più radicale: l’idea che la consistenza della persona dipende dalla realizzazione dei propri istinti e dalla voglia di possesso e di potere. L’importante è fare quel che pare e piace, fare carriera, avere successo, finire sui giornali, andare in televisione, costi quel che costi, ogni mezzo è lecito.

La cultura di oggi ha il volto del relativismo e del nichilismo. É come se non esistesse più nulla di oggettivo, di vero, esistono solo le mode, la pubblicità, i comportamenti di massa. Non si riconosce più la realtà, non ci si lascia educare dalla realtà, non esiste più uno sguardo realistico e ragionevole su ciò che ci circonda, su ciò che accade. Questo determina una grande estraneità rispetto a se stessi, ci si sente affettivamente scarichi e allora ci si rifugia nella compagnia precaria, effimera, fragile, inconsistente.

In questo contesto sono stati distrutti la famiglia, il rapporto di stabilità uomo-donna (conviene convivere, non conviene avere figli); un numero sempre maggiore di studenti conosce il dramma della famiglia divisa o dell’appartenenza a una seconda “famiglia” diversa da quella in cui sono nati, in cui si sentono degli estranei. Gli atteggiamenti e i comportamenti violenti, la falsità sono la regola quotidiana a scuola, in famiglia, sul lavoro.In una situazione come quella sopra descritta, un giovane a scuola avrebbe bisogno di sentirsi voluto bene, di essere stimato, di essere aiutato a incontrare la realtà, a dare un giudizio, a riconoscere come e perché la sua vita può avere un senso.

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Invece nelle scuole esiste una violenza sottile, impalpabile, che pochi sottolineano: l’attacco alla identità dei giovani e la mancanza di qualsiasi proposta educativa; essa si manifesta in primo luogo nell’indifferenza rispetto ai loro desideri e alle loro domande, che emergono particolarmente nell’età dell’adolescenza. Se uno studente chiede a un suo insegnante:“ Prof. vorrei essere felice, ma non so cosa sia la felicità, non ci riesco, come posso fare?”, quasi sempre si sente rispondere: “Ma non esiste la felicità! Che problemi ti fai, pensa piuttosto a studiare!” É da una situazione così che nascono l’alienazione, la noia, la solitudine, la ribellione, il bullismo.

 

Mi viene in mente il “grido” degli studenti del liceo di Catania dopo l’omicidio dell’ispettore Raciti: “Quei fatti ci interpellano personalmente, ci pongono diversi interrogativi, ci chiamano in causa e ci invitano a una riflessione riguardo alla coscienza che abbiamo della realtà, a una identità vera con la quale ci impegniamo dentro le circostanze della vita e a una speranza fondata con cui possiamo guardare il nostro futuro… Noi ci sentiamo franare il terreno sotto i piedi e ci sentiamo soffocati dal nulla che è attorno a noi… Abbiamo bisogno che qualcuno ci aiuti a trovare il senso del vivere e del morire, qualcuno che non censuri la nostra domanda di felicità e di verità…Per questo chiediamo innanzitutto ai prof e alla scuola intera che ci prendano più sul serio, che prendano sul serio le nostre vere esigenze. Che non debba accadere che un ragazzo finisca male o che comunque perda il gusto del vivere perché a scuola s’è trovato attorno, soprattutto tra gli educatori, gente rassegnata, opportunista e vuota”. Che sfida!

 

É questa la domanda, la richiesta che riecheggia ogni giorno nelle aule scolastiche e ad essa noi educatori siamo chiamati a rispondere. Ma allora non è questione, in primo luogo di procedere a una razionalizzazione della scuola, cambiare gli indirizzi, le materie, gli orari. Il vero problema è che i ragazzi non percepiscono nemmeno una proposta educativa se non c’è un soggetto coinvolto con loro in un cammino educativo. La conoscenza non è l’esito meccanico dell’insegnamento di una disciplina, ma è il frutto del coinvolgimento tra una persona geniale, intelligente, tra uno che in tutto quello che dice e insegna evidenzia la vera figura dell’uomo, il suo IO, e un giovane in cui occorre far vibrare il desiderio, la domanda.

 

Dalla mia esperienza di una cosa sono certo: che ogni giorno le mie alunne mi chiedono questo, non qualche ora in più o in meno di italiano, o l’applicazione delle nuove tecniche pedagogiche, piuttosto che più ore di laboratorio. Questa è la sfida che rende entusiasmante il nostro lavoro e a cui dobbiamo rispondere, questo è il punto di partenza di ogni vera riforma. Ma forse il ministro della P.I. e gli esperti estensori della riforma da anni non incontrano e ascoltano veramente un giovane e chi ogni giorno cerca di rispondere alla sua domanda di conoscenza e di senso.

 

Franco Bruschi, insegnante