Un altro mondo alle porte della città: è questa la descrizione che Anna Di Gennaro e Sabrina Sperotto fanno della Cascina Campazzo, uno dei tanti luoghi vivi e vivibili sui limiti della città, che rischiano di essere cancellati dalla città stessa. E che invece vanno difesi.

I coppi rossi di un vecchio tetto che riparano gli animali dalle intemperie riportano lo sguardo ai tempi passati e ad una terra di valori lontani e intrisa di manualità, di doni, di fatica fisica per ottenerli. Gli odori della terra e la volontà tenace di chi sente le proprie mani consumarsi al sole lavorando sodo, vedendo le sementi crescere con calma e pazienza, accudendo gli animali, mungendo il latte, rappresentano la storia di tanti italiani. Un panorama che ci si aspetta di trovare lontano in aperta campagna, si trova invece alle porte di Milano.

Tutto ciò rappresenta la vita quotidiana della cascina Campazzo, all’interno del parco Sud e a sua volta incorporata nel Parco Urbano del Ticinello nei pressi di piazza Abbiategrasso, ultima fermata della metropolitana verde. Luogo amato e sostenuto da tanti abitanti della zona che hanno condiviso con la famiglia Falappi alterni momenti di gioia e di tristezza.

Troviamo un altro mondo alle porte della Città che si prepara all’evento dell’EXPO 2015. L’ambiente e la sua salvaguardia dovrebbe essere l’obiettivo ma qui potrebbe sparire tutto perché la famiglia, che si prende cura della cascina da una vita, ha ricevuto l’ennesima ingiunzione di sfratto.

Probabilmente non resterebbe traccia di una comunità nata proprio lì, che ha vissuto esperienze indelebili anche attraverso attente insegnanti che hanno accompagnato i loro allievi ad assaporare la terra da vicino per nutrire la loro mente curiosa di conoscere la realtà circostante. Imparare dalla terra è un bene fondamentale ancora oggi, purtroppo sottovalutato nel nostro mondo ipertecnologico dove il rischio di involuzione è quello di perdere la nostra storia, le nostre origini per sostituire gradualmente una realtà umana con una virtuale. La cascina Campazzo è un luogo della memoria storico culturale, difeso con dignitosa tenacia dalla famiglia Falappi. Il desiderio è tenerla in vita nonostante la situazione di disagio causata dalla proprietà che non sblocca la possibilità di attuare – assieme al comune – il piano di recupero promesso e mai realizzato. Perché?

Chi ha vissuto quei momenti di gioia ricorda quando si portavano in cascina i propri figli ancora in carrozzina: le mucche frisone osservavano e continuavano a ruminare, i vitelli riposavano a parte. C’è la porticina dove la scrofa partorì una decina di maialini, impressi ancora nella memoria di quei bambini che potevano correre liberi di sporcarsi e gustare la bellezza di un luogo intriso di quell’odore di campagna che molti ora definiscono puzza. Cosa tramanderemo ai bambini di oggi se anche questo brandello di stile di vita del Novecento dovesse andare perduto?

In un “recente” passato fu l’arrivo travolgente di don Pigi Bernareggi a produrre una svolta decisiva: catapultato da Belo Horizonte alla vicina parrocchia sant’Antonio Maria Zaccaria nel lontano 1989 per un paio d’anni indimenticabili che sconvolsero letteralmente la vita di molti abitanti abituati al quieto vivere cittadino. Da lì in cascina dove celebrava la Messa domenicale assieme alla nascente comunità cristiana nella storica Cappella piccola ma accogliente, sempre piena di gente fin sull’altare, d’estate come d’inverno.

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Molti non frequentavano le chiese ma lì si respirava un clima diverso: al mercoledì sera ci si confrontava sulle letture della liturgia domenicale e tutti avevano qualcosa da dire, interventi valorizzati da don Pigi che si spostava solo coi pattini o con la bicicletta, niente auto in città come nel suo Brasile tra i suoi favelados. Il rosario del mese di maggio, la Via Crucis ma anche le prime feste sull’aia con decine e poi centinaia di famiglie, l’approfondimento storico culturale con la presenza di personaggi disposti a muoversi anche per una dozzina di persone, primo tra tutti Roby Ronza da cui abbiamo appreso il significato del post moderno. Ma anche mettere a dimora alberi, giocare alla pentolaccia, cantare assieme e condividere tavolate dove ognuno porta qualcosa. C’era posto per tutti.

 

Un luogo così importante per questa Milano da Expo con i suoi faraonici progetti: ma siamo sicuri siano progetti di vita? Perché sradicare chi ha messo radici profonde in una nobile terra non lontano dall’Abbazia di Chiaravalle? Che ne direbbe san Bernardo?

 

Mentre ascoltiamo l’ospitale Andrea Falappi, che siede con noi e ci aggiorna sullo stato delle cose, notiamo che è visibilmente stanco e amareggiato. Ormai potrebbe essere giunto il momento di abbandonare definitivamente la loro casa, gli affetti di un luogo della memoria, il lavoro nei campi col trattore, la cura degli animali, il posto dove la vita scorre secondo i ritmi naturali e si lavora 365 giorni l’anno. Ma c’è gusto e se ne conosce il senso. Chi vuole allontanarli ferisce tutti noi che pur viviamo appartati in caseggiati poco distanti e ci siamo potuti permettere di assaporare ciò che altri – probabilmente – non vedranno più. Anche questo è il Novecento, le nostre radici culturali e contadine e la bellezza dei ritmi scanditi dalla luce del sole e dalla quiete della notte a pochi passi dai palazzi e dalle scuole superiori. Lasciateci continuare a percorrere a piedi o in bicicletta le strade sterrate che conducono alla Cascina Campazzo e riempiono il cuore di gioia.

 

Se un cittadino ignaro dell’ esistenza di questo angolo di paradiso terrestre o un amministratore s’imbattesse nello sguardo della famiglia Falappi ( la figlia suona il violino mentre noi conversiamo) e nella bellezza di un luogo che esprime tutta la sua verità contadina, ne rimarrebbe commosso. Perché dunque togliere la speranza a cittadini che vorrebbero solo proseguire un cammino insieme alla loro comunità valorizzandone tutti gli aspetti umani che portano calore al cuore di chi li vive?

 

Comunque sia il proprietario, ingegnere Ligresti, ha provveduto a far recintare gran parte della cascina promettendo lavori che in verità stanno solo bloccando la possibilità di svolgere qualsivoglia attività lavorativa e conviviale. Gli sfratti tanto ripetuti quanto ritirati rendono la vita ai limiti della sostenibilità e portano ad un logoramento deprimente una famiglia che ha sempre tenuto aperto il cancello ai viandanti incuriositi e solitari. Lì vi hanno trovato compagnia.

 

Anna Di Gennaro e Sabrina Sperotto