Già in un precedente intervento, Anna Di Gennaro e Sabrina Sperotto avevano denunciato i rischi che correvano le cascine del Parco Ticinello a Milano. L’avanzata della città a detrimento della campagna è un fenomeno più gegerale, che non riguarda solo la metropoli lombarda. Anna Di Gennaro torna perciò sull’argomento.

Da diversi lustri le metropoli del mondo industrializzato hanno fatto scelte ben precise sulla salvaguardia della loro “cintura” metropolitana, valorizzando e salvaguardando i parchi e le aree verdi presenti. Con queste argomentazioni il lungimirante missionario proveniente dal terzo mondo, don Pigi Bernareggi, illustrò all’allora assessore Schemmari l’importanza per Milano del Parco Ticinello e della Cascina Campazzo in esso inserita.

Correva l’anno 1990 quando mi chiese di partecipare alla spedizione illustrativa assieme ad Andrea Falappi, che tuttora vi lavora e abita con la sua famiglia. L’assessore ascoltò stranito quello strano prete che osava impartirgli una lezione di post moderno. Sono trascorsi vent’anni durante i quali ha preso corpo una vera e propria comunità, eterogenea per tradizione e storia personale, ma accomunata dalla percezione della bellezza dell’anima di quel luogo dal quale si ammira l’Abbazia di Chiaravalle.

L’amicizia nata tra le famiglie che hanno avuto il privilegio di incontrare questa realtà è continuata nel tempo anche attraverso la presenza delle nuove generazioni dei nostri figli, ormai divenuti adulti. Per questo motivo mesi fa avevo accompagnato l’amica Sabrina a visitare un luogo particolarmente significativo della mia memoria storica di mamma e maestra.

Fino a pochi anni fa, all’interno della Cascina Campazzo si svolgevano varie feste aperte a tutti coloro che per via diretta o indiretta ne venivano a conoscenza. Attualmente non è più possibile organizzarle: l’intera area è stata transennata dal proprietario Ligresti e la spada di Damocle dello sfratto pende sulla testa della famiglia, che periodicamente riceve la lettera informativa.

Dopo sessant’anni di intensa attività agricola, a cancelli perennemente aperti ai viandanti incuriositi, ai visitatori e alle classi delle scuole limitrofe, questo patrimonio del ‘700 potrebbe essere definitivamente smantellato. A poche fermate di metropolitana dal cuore pulsante e aritmico della Borsa è possibile incontrare ancora Andrea che dà da mangiare alle mucche e osservare i vitelli che si lasciano accarezzare dai bambini. Unitamente alla condivisione di momenti lieti ed educativi all’aria aperta si poteva gustare il gioco semplice e genuino in sana compagnia.

Durante il rigido inverno, con l’amica Sabrina, ci eravamo dunque inoltrate ai limiti della nostra amata “città della moda” per verificare direttamente la presenza di questa “sorpassata” cultura contadina, smarrita quasi ovunque con l’avvento del boom economico. Si potrebbe filosofeggiare che tutto scorre è vero, ma Andrea si occupa ancora oggi dell’azienda agricola e non è raro incontrarlo sul trattore durante le gite in bicicletta tra i campi.

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Ci troviamo nella metropoli che prepara – tra dispute e polemiche – l’esposizione mondiale del 2015 il cui tema è lambiente (“Nutrire il mondo”) e la sua salvaguardia per consegnarlo alle future generazioni. Osservando i progetti pubblicati dai maggiori quotidiani nazionali, noto che attorno alla città sorgeranno orti planetari inframmezzati da canali.

 

Spettacoloso. E’ dunque necessario programmare e pianificare saggiamente il futuro a partire dagli insegnamenti del passato e possibilmente senza incorrere in altri gravi errori di prospettiva che hanno sortito l’effetto devastante dell’economia globalizzata, quella dove vige la regola dell’ “usa e getta”. Un approccio alla vita poco rispettoso della dignità della fatica dei lavori agricoli.

 

Sono certa che la scelta del simbolo della Zona 5, l’Abbazia di Chiaravalle, sia davvero oculata. Conoscere le proprie radici storico culturali è dunque una priorità per capire come procedere, in quale direzione avviare l’assetto urbanistico del terzo millennio dell’era cristiana. Urge una programmazione urbanistica e culturale maggiormente saggia che ridia respiro al Pianeta e ai “pellegrini”di oggi.

 

Anna Di Gennaro

 

Per chi volesse saperne di più, segnalo il portale del Parco, da cui sono tratte le informazioni che seguono. 

 

 

Il Parco Agricolo Urbano del Ticinello e la sua storia

 

Dalla metà dell’Ottocento la città di Milano si è sviluppata prevalentemente verso Nord rispetto alle fertili campagne del Sud. Qui le coltivazioni erano già iniziate nel tardo Duecento ad opera dei Cistercensi con la bonifica delle paludi che occupavano buona parte della pianura. Era stata poi creata una fitta rete irrigua che alcuni secoli dopo si era completata con la realizzazione dei Navigli. Proprio dai Navigli deriva il cavo Ticinello che dà il nome al Parco.

 

La conseguente disponibilità di abbondante foraggio favorì lo sviluppo dell’allevamento bovino, portando alla costruzione della cascina lombarda che, nella sua tipica struttura a corte chiusa, raccoglieva tutte le funzioni della vita produttiva, sociale e religiosa.

 

A partire dal Settecento con l’affermazione della moderna scienza agraria, si svilupparono le coltivazioni a marcita che assicuravano il foraggio per quasi tutto l’arco dell’anno. La Cascina Campazzo e il territorio agricolo circostante sono un esempio significativo di questa agricoltura, anche per la presenza di alcuni campi a marcita.

 

 

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Nell’intento di preservare all’interno del territorio comunale un’area con queste originarie caratteristiche, un gruppo di abitanti dei quartieri circostanti e gli agricoltori stessi si sono raccolti in una associazione, proponendo e anticipando, già nella realtà, la creazione di un parco che l’Amministrazione aveva pianificato alla fine degli Anni ’80 e che ha definitivamente deliberato nell’ottobre del 2000.

 

In forza di tale progetto, che prevede il finanziamento per l’esproprio dei terreni e per le necessarie dotazioni infrastrutturali, oggi a poco più di tre chilometri dal Duomo di Milano c’è il Parco Agricolo Ticinello, interessante esempio di integrazione fra ambiente, agricoltura e spazi per il tempo libero e la didattica.

 

Il parco, in termini di verde, con una estensione di 800.000 metri quadri , si pone attualmente al terzo posto per superficie rispetto agli altri parchi milanesi. L’attività agricola nei campi

 

Nelle aree agricole del Parco le coltivazioni si succedono secondo le tradizioni e le modalità tipiche dell’area lombarda. Il territorio del Parco interessa direttamente due cascine: la cascina Campazzo e la Cascina Campazzino, più parte dei campi delle Cascine Case di Giugno e Salvanesco.

 

La cascina Campazzo, sede dell’Associazione Comitato per il Parco Ticinello, si contraddistingue per l’allevamento delle vacche da latte: sono presenti circa 130 capi allevati all’aperto, con sala di mungitura. Si coltivano mais, frumento e diverse foraggere che garantiscono l’alimentazione del bestiame. Nei campi delle altre aziende si coltivano anche orzo, avena, soia, colza, ed altri cereali.

 

Il reticolo campestre di sterrati è di antichissima origine, dato che segue la sapiente distribuzione altimetrica dei canali d’acqua, probabilmente di origine benedettina. Lungo le stradine, soprattutto sulle aree della Cascina Campazzo, sono presenti filari di pioppo nero di dimensioni monumentali. L’acqua dei canali di irrigazione dei campi deriva dalle rogge Scarpogna e Ticinello provenienti dalla Darsena dei Navigli e perciò dal Ticino.

Anna Di Gennaro