Come molti inni nazionali ottocenteschi, anche quello italiano è intriso di retorica, e la retorica come tale va presa. Tuttavia, è difficile dar torto a Cesare Barbadoro che per un cristiano quella storia di Dio e la Vittoria sia in effetti indigeribile.
Nell’inno nazionale di Goffredo Mameli, caro alla destra e che la sinistra ha recentemente riscoperto grazie alla commovente carica emotiva espressa da Roberto Benigni nel cantarlo sommessamente a San Remo 2011, non si fa caso che nelle nostalgiche parole per l’antica Roma imperiale, nell’inno, si identifica Dio, non le divinità romane ma il Dio cristiano, come il creatore di una condizione: la schiavitù della vittoria, la dove per “vittoria” si intende il potere e la potenza temporale di una nazione. Vittoria schiava, per opera e volere di Dio, della città di Roma!: “Dov’è la Vittoria? Le porga la chioma, che schiava di Roma Iddio la creò”…
Dio, nella Sua infinita misericordia e perfetta giustizia, non pone condizioni al libero arbitrio, tantomeno alle potenze temporali delle singole nazioni destinate, come tutte le umane imprese, a perire. Solo alla fine dei tempi saranno, da Lui, giudicate buone o cattive.
Questa frase potrebbe essere considerata, alla luce della Verità Evangelica, un insulto a Dio! Una bestemmia. Cristo nel discorso della montagna esalta gli umili, i perseguitati, i poveri, i sofferenti e gli operatori di pace: le vittime delle potenze temporali che da sempre si contendono il dominio del mondo. Cristo non celebra queste vittorie, da sempre causa di guerre e prevaricazioni dell’uomo sull’uomo, ma le condanna! Lui, il Liberatore da ogni schiavitù fisica e spirituale, ci richiama unicamente all’amore. E all’amore anche per i nemici!
Il voler conferire a Dio una volontà non propria ma nostra, è un’emerita bestialità generata da arrogante ignoranza.
Quella divina volontà dell’inno nazionale, che Benigni astutamente non menziona, deve essere identificata come la volontà non del popolo, ma di quel “dio” del massonico potere anticlericale: quello risorgimentale, garibaldino e sabaudo; l’ideale dei giovani della benestante classe della carboneria italiana.
Da credente, non mi sento di cantare quell’inno.
“Come anch’io, quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino e ragionavo da bambino, ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose proprie da bambino“ ( I Corinti 13-11.) … Non c’è dunque più Giudeo né Greco; non c’è più schiavo né c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù.”. (Gal 3,26-29)
Ora io, come un alieno, ho un Inno, un solo Inno, un Inno nazionale, internazionale e universale, nessun’altro Inno all’infuori di questo:
“ Padre nostro, che Sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il Tuo regno, sia fatta la Tua volontà come in cielo, così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Amen.”
Cesare Barbadoro, tecnico elettronico in pensione