Enrico Caruso (1873-1921) morì a Napoli il 2 agosto 1921 a soli 48 anni. Il centenario della sua scomparsa viene celebrato alla fine di quest’anno per ragioni connesse alla complessa situazione della programmazioni dei teatri in questo periodo di pandemia. Caruso fu il primo “tenore dei due mondi”: andò in scena al Metropolitan di New York ben 863 sere. Quando nell’emisfero settentrionale era estate, passava intere stagioni in Sud America (soprattutto a Buenos Aires e a Rio de Janeiro). Fu anche uno dei primi cantanti lirici a scoprire l’importanza delle registrazioni e a incidere, quindi, dischi di cui si acquistano ancora riproduzioni rimasterizzate per ascoltare la sua voce. Figlio di un operaio e di una donna delle pulizie, la sua voce venne notata in chiesa ed in alcuni spettacoli per bambini. Debuttò nel piccolo teatro di Caserta per ascendere presto ai maggiori teatri italiani e poi mondiali, diventando presto uno degli artisti più pagati nella storia del teatro lirico.
A Napoli il 23 dicembre si è tenuto un convegno in ricordo del tenore al Museo MeMus del Teatro di San Carlo che ha concluso la serie di manifestazioni organizzate dal Comitato Nazionale Centenario di Enrico Caruso creato presso il Ministero della Cultura. Al Teatro di San Carlo, in effetti, Caruso cantò solo in un’occasione, una produzione dell’Elisir d’amore di Gaetano Donizetti tra il dicembre 1901 e il gennaio 1902: non volle più tornare in quanto lo spettacolo venne disturbato da una claque di suoi rivali. Nel corso del convegno, è stato presentato un Docu-film sul cantante.
A Roma, il 22 dicembre alla Sala Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica, in ricordo di Enrico Caruso è stato tenuto un concerto fuori abbonamento che ha avuto protagonista assoluto il tenore messicano Javier Camarena, uno dei nomi più noti oggi sulla ribalta lirica internazionale, accompagnato dall’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretta da Riccardo Frizza.
Camarena vanta una stupefacente carriera non ancora ventennale, voce potente e chiara, che ha la fama di catturare gli animi con l’agilità e la dolcezza del fraseggio, Camarena è considerato un interprete ideale sia del repertorio belcantistico sia di quello italiano e francese del tardo Ottocento. Perfetta la dizione in varie lingue.
In programma pagine tra le più note del repertorio operistico. Arie come “Spirto gentil” da La Favorita di Gaetano Donizetti, “Che gelida manina” dalla Bohème di Puccini, De’ miei bollenti spiriti dalla Traviata di Verdi alle quali fanno da contrappunto le introduzioni strumentali di alcune opere come La fanciulla del West di Puccini, motivi struggenti come gli Intermezzi della Fedora di Umberto Giordano e dei Pagliacci di Leoncavallo, o trascinanti come Valse del Faust di Gounod, e brani noti dal pubblico come la Danza delle ore di Amilcare Ponchielli. Il programma era senza dubbio ben costruito in quanto coglieva momenti delle varie fasi di Caruso: da quelle di “tenore di grazia” (una voce chiara di un tenore con “la lacrima nelle voce”, come in Donizetti e nella prima versione del Faust di Gounod) a quelle di tenore “spesso” con registro di centro (come, ad esempio, nei ruoli pucciniani).
Soffermiamoci sui tratti essenziali del concerto. In primo luogo, l’orchestra sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia è un complesso molto più nutrito di quelli dei teatri d’opera e soprattutto dei teatri d’opera italiani ed americani ai tempi di Caruso; pertanto, Camarena ha dovuto forzare il volume ed, in certi momenti, ad esempio nella cabaletta di De’ miei bollenti spiriti è parso un po’ perso tanto che si è rivolto con lo sguardo al direttore Frizza quasi come cercasse che quest’ultimo gli desse la battuta. Ha anche avuto difficoltà nelle mezze voci. In secondo luogo, nonostante alle orecchie del critico Camarena è parso avere diverse sbavature (ma l’orchestra era eccellente), il pubblico è stato entusiasta: applausi, anche ovazioni e richieste di bis. A cui Camarena ha risposto con una tarantella e con O sole mio.