Quasi quattro elettori su 10 hanno abbandonato la Lega per portare il loro voto a Fratelli d’Italia. Non solo: un altro 26% ha deciso di restare a casa e di non sostenere il Carroccio. Secondo Enzo Risso, docente di teoria e analisi delle audience nell’Università La Sapienza di Roma e direttore scientifico di Ipsos, bastano questi due numeri per spiegare il calo di consensi che ha colpito il partito di Salvini, al quale hanno sottratto voti anche Forza Italia (3%), Italexit (2%) e M5s (1%).
Meno pesanti le “donazioni” che hanno patito il partito di Conte (il 9% dell’elettorato Cinquestelle è transitato verso Giorgia Meloni, il 7% verso il Pd e un altro 3% ha preferito Calenda). Quanto al Pd, ha ceduto il 12% dei consensi ad Azione-Italia Viva.
Ma dal voto di domenica 25 settembre, esce un messaggio chiaro: “L’Italia è un paese in ansia, che cerca con affanno un partito, un leader in grado di portarlo fuori dalle secche di questa crisi: oggi tocca a FdI, ma è giusto sottolineare che negli ultimi anni il 35-40% degli elettori ha cambiato idea, mostrando quindi una grande fluidità di voto, segno di un profondo pessimismo e di una crescente preoccupazione”.
Partiamo dal primo dato che balza agli occhi, il grande successo del partito di Giorgia Meloni: dove ha pescato i nuovi voti Fratelli d’Italia?
L’attuale composizione dell’elettorato di FdI ha una provenienza multipla, nel senso che il 38% degli elettori che nel 2019 avevano votato per la Lega oggi hanno optato per Giorgia Meloni. FdI ha anche incassato una quota di elettori di Forza Italia, pari al 21%, e ha recuperato voti dall’astensione per almeno l’8%. Dal M5s, poi, ha attinto il 9% circa. Insomma, ha recuperato voti un po’ da tutti gli schieramenti.
Soprattutto però dal centrodestra, non crede?
Abbiamo assistito in questi anni all’enorme fluidità del voto del centrodestra. Fino al 2013 a catalizzare i consensi è stato il Pdl, poi questi consensi hanno cominciato in parte a disperdersi nel 2018 verso il M5s, l’anno successivo sulla Lega e oggi hanno trovato casa in Fratelli d’Italia.
Che cosa implica questo alto tasso di “infedeltà”?
Per il momento FdI non può contare su un elettorato fedele: si tratta di un elettorato che è confluito su Giorgia Meloni come prima era confluito sui Cinquestelle e poi sulla Lega. E domani? Si vedrà.
La cavalcata di FdI è stata impetuosa soprattutto al Nord, dove in molti collegi ha addirittura doppiato la Lega. Che corde ha saputo toccare Giorgia Meloni?
Alla base ci sono due ragioni convergenti. La prima: la scelta di volersi affidare a un leader che in qualche modo è stato all’opposizione del governo Draghi e ha rappresentato, agli occhi di un elettorato non avvezzo alle mediazioni e ai compromessi al ribasso, un partito fermo sulle sue posizioni.
Ha pagato quindi la coerenza di Giorgia Meloni?
Ha pagato l’estraneità a una soluzione di mediazione continua come era il governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi. È un elettorato di centrodestra, ma la stessa cosa si ritrova anche nel campo del centrosinistra, che non ama le soluzioni intermedie e vive le commistioni con fastidio.
La seconda ragione?
In questo frangente l’elettorato del Nord ha voluto mandare un segnale di malessere alla Lega, che è scesa nelle sue roccaforti, non solo perché ha votato la Meloni, ma soprattutto perché una fetta del suo elettorato storico ha deciso di rimanere a casa. La Lega paga infatti un 26% di persone che si sono astenute. Ed è un fenomeno che ha preso piede proprio negli ultimi giorni, visto che i sondaggi prevedevano che il partito di Salvini tenesse oltre il 10%, mentre alla fine è sceso poco sopra l’8%.
L’onda astensionista in che misura ha colpito anche le altre forze politiche?
In misura minore. Il secondo partito che ha maggiormente subìto l’onda astensionista, rispetto alle Europee del 2019, è il M5s con una quota del 13%. La fetta di ex elettori del Pd che non sono andati alle urne è pari al 6% e quella di Forza Italia vale un 5%.
Torniamo al dimezzamento, e al crollo dal top del 34% in soli tre anni, della Lega di Salvini: dove sono finiti questi voti?
Nel 2019 la Lega era diventato un partito-massa, capace di parlare a diversi segmenti della società. Oggi ha quindi pagato un prezzo maggiore di quello che è il suo bacino naturale. Il dimezzamento si nota subito guardando proprio a quel 38% di elettori che hanno virato su Fratelli d’Italia e a questo 26% di astenuti. Poi c’è un 3% di elettori della Lega che sono tornati a votare Forza Italia, un altro 3% di leghisti – diciamo così – “centristi” che tre anni fa avevano votato Salvini e oggi hanno scelto Calenda. Infine, un 2% ha optato per Italexit.
Il M5s ha rosicchiato qualcosa alla Lega?
Solo l’1%, poca roba. Detto tutto ciò, però, è giusto sottolineare che il giudizio sulla Lega merita attenzione.
Perché?
La fluidità di voto nel centrodestra e il 26% di elettori storici che si sono astenuti sta a significare che la Lega ha buoni margini di recupero del suo bacino di consenso: non è un elettorato perso, anche se, non c’è dubbio, in questo momento ha scelto di salire sull’Aventino.
E Forza Italia? In quali rivoli è finita quella metà di consensi persi rispetto al 2018-2019?
Rispetto al 2019 il 21% di voti sono passati a FdI, e se guardiamo al 2018 saliamo al 26%. Un altro 7% è transitato verso Azione/Italia Viva.
Il centrodestra non ha aumentato il suo bacino di voti, ha raccolto gli stessi consensi del 2018, distribuiti però in misura differente tra i tre partiti della coalizione. Perché non è un perimetro espansivo?
Un primo dato. Il Pdl nel 2008, quando è nato, aveva preso il 37,38%, sceso nel 2013 al 21,6%. Nel 2018 il M5s è diventato il primo partito con il 32%, nel 2019 la Lega con il 34%, oggi FdI con il 26%: in questo tourbillon di flussi e di cambiamenti, c’è stato un processo di prosciugamento del peso del primo partito. In secondo luogo, il nostro Paese resta estremamente diviso e in questa divisione l’universo valoriale conservatore-convenzionalista da anni arriva al massimo al 45-46%, non va oltre. Questo spiega perché il bacino del centrodestra incontra maggiori difficoltà a oltrepassare questa soglia.
Anche il Pd ha mantenuto il suo zoccolo duro, che oscilla sempre tra il 18% e il 20%. Non perde elettori, ma neppure ne guadagna. È così? Oppure i dati e i flussi elettorali rivelano altro?
Premesso che il Pd è tra i grandi partiti quello che ha tenuto di più, quasi il 68% dei suoi elettori del 2019 – mentre il M5s ha tenuto solo il 55% -, va segnalato che ha subìto un’uscita significativa verso Azione, “donando” quasi il 12% del proprio elettorato.
E verso il partito di Conte, che ha spinto il M5s su posizioni molto di sinistra?
Il Pd ha recuperato il 6,7% di elettori che tre anni fa avevano votato il M5s, con cui ha un bilancio entrate-uscite positivo, visto che il partito di Conte ha saputo attrarre solo il 3,8% degli ex elettori dem.
Anche il M5s ha comunque dimezzato i suoi consensi. Oltre ad essere confluita in parte nel Pd, che bacini elettorali ha alimentato la diaspora grillina?
Il M5s ha “donato” quasi il 9% a Fratelli d’Italia e il 3% ad Azione.
Guardando queste elezioni nel loro complesso, che rumore di fondo sale dall’elettorato?
Emerge innanzitutto un segnale, forte e crescente, di sfiducia e di disaffezione verso la politica, anche se adesso c’è molta enfasi sul fatto che dopo la vittoria di Giorgia Meloni avremo un governo con una maggioranza stabile, almeno nei numeri. L’Italia è oggi un paese molto preoccupato, in forte ansia per il suo futuro. La fluidità di voto mostra che c’è un’affannosa ricerca di qualcuno che possa portarci fuori da questo tunnel, sebbene – secondo la classica contraddizione italiana – non si accettino le mediazioni, tanto che si puniscono quei partiti che si fanno carico dei problemi.
Cosa cercano gli elettori italiani?
Cercano chi abbia la bacchetta magica per cambiare lo status quo: nel 2018 i “salvatori” erano i Cinquestelle, nel 2019 la Lega di Salvini e ora Giorgia Meloni. Ma questa è la cartina di tornasole di un elettorato in agitazione, che vuole recuperare quella stabilità, quella sicurezza e quella spensieratezza che ha perso ormai da anni, prima a causa della crisi economica, poi del Covid e della guerra e oggi per l’inflazione e il caro bollette.
Un’ultima domanda: c’è chi dice che il voto a Giorgia Meloni sia un voto di protesta. Che ne pensa?
Non è solo protesta, c’è una ricerca disperata di qualcuno che rappresenti una risposta alle ansie e alle preoccupazioni che si muovono nel Paese. Tenga conto che il 35-40% degli elettori ha cambiato il suo voto. C’è, da un lato, un nervosismo profondo nella società italiana, visto che i livelli di tensione sociali restano molto alti: il 65% degli italiani li percepisce e li teme. E dall’altro, emerge una gran voglia di cambiare, affidandosi a chi in quel preciso momento sembra il partito o il leader più in grado di calmierare quest’ansia.
(Marco Biscella)
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