In Ungheria una giovane insegnante italiana, Ilaria Salis, è sotto processo con l’accusa di aver picchiato, insieme ad alcuni amici, un giovane militante nazista. Pare che costui non abbia neppure sporto denuncia, per la vergogna davanti ai suoi camerati di essersi fatto menare da una banda di esponenti di una sotto-razza italiana, per di più guidati, forse, da una donna.



L’Italia oggi è impressionata, giustamente, per le immagini della giovane portata al processo, sorridente, con le manette non solo alle mani, ma anche ai piedi (lì forse non si chiamano manette).

L’avvocato difensore della donna, probabilmente preoccupato che non peggiori la situazione processuale della ragazza, si è premurato di dichiarare che comunque questa è una prassi comune in Ungheria per tutti gli accusati.



Il fatto è che la preoccupazione per la condizione e la sorte della nostra connazionale non può farci dimenticare che il suo diritto ad un giusto processo e a un trattamento umano deve essere affermato per tutti. Altrimenti sarebbe inevitabile passare anche davanti ad Orbán, per i soliti nazionalisti italiani, ligi al principio che solo i propri figli sono “piezze ’e core” (non so se si scrive così). Comunque, se avesse partecipato veramente al pestaggio del neonazista, imbranato, come ha ammesso anche il padre della ragazza, sarebbe giusto che venisse chiamata a rispondere del suo operato, naturalmente senza condanne ai lavori forzati.



Questa storia mi ricorda la mia visita fatta nel 2013 allo Spielberg, la fortezza dove furono rinchiusi Silvio Pellico e i suoi compagni carbonari, che si trova a Brno, in Moravia.

Ero stato mandato là dall’Ambrosiana per fare due conferenze, dopo le quali mi fu data la possibilità di visitare il carcere di cui avevo sentito parlare a scuola. Nel piano superiore, dove c’erano i carbonari italiani, le condizioni erano sì di detenzione, ma con ampie possibilità di trovarsi tra loro, leggere, scrivere. La punizione più pesante era l’obbligo a partecipare alla Messa quotidiana, da cui era escluso solo un ex prete. Nei sotterranei, dove si dove si trovavano i detenuti comuni, le condizioni di vita erano a dir poco bestiali, tanto che non voglio neanche descriverle. Basti pensare che là spesso si sopravviveva solo poco tempo.

Adesso, come si diceva ai tempi del Covid, speriamo che tutto vada bene, che ognuno faccia la sua parte; con giustizia, non con spirito di vendetta.

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