Dopo l’ubriacatura delle elezioni europee, i vari eletti fanno dichiarazioni. Tra tutte, quelle di Ilaria Salis, che si professa militante del movimento per la casa, risaltano mediaticamente. Sfrutto le sue parole per provare a far luce su un problema che attanaglia le nostre città, grandi o piccole: il problema dell’accesso alla casa da parte di tutti i cittadini. Un problema che in poche righe non è certamente possibile né risolvere né spiegare in modo approfondito, ma che necessita comunque di un tentativo di giudizio.



Innanzitutto una precisazione: il movimento di lotta per la casa ha nella sua missione e ideologia quella di occupare edifici abbandonati o di proprietà di terzi per viverci insieme a chi non può permettersi un’abitazione. Scopo nobile dunque, ma metodo evidentemente sbagliato, come proverò ad evidenziare di seguito. La politica, per come la intendo, è un luogo di dialogo e incontro, una modalità di rappresentare e quindi difendere gli interessi di tutti i cittadini e tra questi c’è la casa che è senza ombra di dubbio un diritto. Anche La dottrina sociale della Chiesa cattolica riconosce il diritto alla casa come un diritto fondamentale della persona umana, strettamente collegato alla sua dignità. La casa è infatti il luogo privilegiato dell’agire della famiglia, prima istituzione che deve occuparsi della crescita e dell’educazione dei figli; senza casa la persona perde la propria dignità e senza dignità viene a meno la possibilità di essere donna o uomo.



Su una cosa posso essere d’accordo con Salis, che nella società di oggi deve essere facilitato l’accesso alla casa per tutti. Troppe storie tristi sono all’ordine del giorno, come quella di Lucia: intestataria di un’abitazione popolare, sola, con una figlia a carico. Come molti, a seguito di una ristrutturazione aziendale si ritrova senza lavoro nel giro di pochi mesi. Inizia quindi a non poter permettersi di pagare l’affitto e diventa morosa. Nel complicato meccanismo dell’edilizia residenziale pubblica la sua condizione diventa insolvente e quindi abusiva, perdendo il diritto ad avere la casa. Avendo la figlia a carico non può neanche permettersi di trovare qualsiasi lavoro, deve sottostare a determinati orari che vadano d’accordo con gli orari dell’asilo. Ebbene, la grande differenza è proprio questa: Lucia vorrebbe non essere abusiva, ma le istituzioni non la ascoltano e non aprono nemmeno alla possibilità di programmare un rientro calmierato. Il movimento per la casa propone l’abusivismo come risposta al problema, mentre le opere sociali che tutti i giorni sui marciapiedi si occupano dell’incontro propongono alternative all’abusivismo.



Ad esempio, la Fondazione Eris ha in gestione alloggi di Aler (Azienda lombarda edilizia residenziale) e li concede a prezzi parametrati a chi ne ha bisogno, o La Rotonda, che a Baranzate ha ideato una comunità solidale di energia rinnovabile la quale ha come presupposto la condivisione di risorse (in questo caso materiali) quale strumento di fuoriuscita dal bisogno collettivo, come racconta Samantha, la presidente: nessuno si salva da solo, nessuno è in grado di affrontare il tema della povertà affrontando un unico elemento alla volta.

Che dignità c’è nell’occupare senza prospettiva? Che dignità puoi dare a una famiglia se la soluzione ai suoi problemi rimanda, nel lungo periodo, l’aumento di questi problemi? È abbastanza chiaro l’abisso che separa queste due visioni differenti, nate per rispondere allo stesso problema.

Ora, se invece di occupare le case il movimento si occupasse di prenderle da chi le gestisce e usarle a prezzi calmierati per chi ha bisogno, creerebbe un valore aggiunto. Lo stesso valore che creano le opere sociali che operano in questo modo.

Perché le opere sociali, che sono corpi intermedi, dovrebbero gestire alloggi nelle case di proprietà degli enti pubblici? Perché le opere sociali oltre alla casa riescono a seguire la persona su molti altri aspetti della sua vita, a partire dall’assistenza nel cercare un lavoro, assistenza documentale, assistenza educativa e sanitaria laddove necessario.

Oppure le cooperative edilizie, quelle sane, come CCL, che nel segno del dialogo e avendo come unico scopo quello di fornire casa a prezzi accettabili per i suoi soci, lavorano in partnership con grandi fondi perché hanno capito che esclusivamente dialogando e creando stabili relazioni si può veramente garantire l’accessibilità alla casa a giovani famiglie, famiglie meno abbienti e anziani, che altrimenti dovrebbero trasferirsi fuori città.

Ma tutto questo non fa clamore, non raggiunge la ribalta perché non urla. Silenziosamente cambia la società, ma non urla. Urlando, la società non cambia; la società cambia goccia a goccia, con cultura e lavoro. “Apri un libro e chiudi una cella”, dice sempre un amico che ha sbagliato tanto nella vita, ha pagato passando 13 anni in galera e ora vive e riparte grazie al silenzio, non grazie alle urla. Grazie alla cultura e al lavoro onesto, non con le urla.

La casa è un diritto, ma per renderlo tale serve il dialogo. E forse è tempo che anche Ilaria Salis e tutti i politici che come lei si occuperanno di rappresentarci, dialoghino, non con ideologia ma con realismo, perché il dono di un grande politico è dialogare con tutti e tessere relazioni sane, non urlare e fare incetta di followers. Di quello non c’è bisogno.

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