Il mandante e il sicario dell’omicidio di Ilenia Fabbri sono stati condannati all’ergastolo dalla Corte d’Assise del Tribunale di Ravenna. La sentenza è arrivata nel primo pomeriggio di oggi, a un anno dal delitto. Era il 6 febbraio quando la donna di 46 anni veniva uccisa nel suo appartamento con una coltellata alla gola. A compiere il delitto Pierluigi Barbieri, ingaggiato dall’ex marito della vittima, Claudio Nanni. Aveva pianificato l’omicidio della moglie, che lo avrebbe portato in tribunale per una causa milionaria di lavoro.



Ilenia Fabbri, infatti, rivendicava di dover avere 500mila euro che le spettavano, legati all’attività di famiglia, un’autofficina di Faenza di cui l’uomo era titolare e dove la donna aveva lavorato durante il matrimonio. Alla loro figlia, Arianna, andranno 2 milioni di euro di risarcimento. Se per il sicario, reo confesso, la difesa aveva chiesto una riduzione della pena a 21 anni, il mandante tramite l’avvocato Francesco Furnani aveva chiesto l’assoluzione. Ma entrambi sono stati condannati all’ergastolo.



L’AVVOCATO DI NANNI: “OPINIONE PUBBLICA INFLUENZATA DA TV”

Pierluigi Barbieri l’8 marzo del 2021 confessò l’omicidio di Ilenia Fabbri e rivelò che era stato ingaggiato da Claudio Nanni, l’ex marito della vittima. I piani prevedevano che l’ex moglie dovesse morire prima del processo che li avrebbe visti contrapposti. Nei mesi precedenti al delitto ci sarebbero stati due tentativi. In uno di questi era stata pure scavata una buca e consegnato al sicario dall’ex marito un trolley e una bottiglia di acido per nascondere e sfigurare il cadavere.

Invece Claudio Nanni ha sempre raccontato di non aver pianificato l’omicidio dell’ex moglie, ma di aver chiesto a Pierluigi Barbieri di spaventarla. «Non la volevo far uccidere ma solo spaventare, Barbieri doveva entrare con una vanga per spaventarla». Il legale aveva poi attaccato i media, spiegando che «l’opinione pubblica è stata influenzata dalle televisioni ben prima del processo, ben prima dell’arresto come se fossimo stati in un regime, come se la tv fosse di regime». Ma il racconto del suo assistito non è mai parso coerente ai giudici della Corte.