Va educata l’umanità degli apprendisti insegnanti, invitandoli – in un rapporto condiviso con i maestri artigiani – a vivere tutti i giorni:
A) un’indomita quotidiana passione per il reale ;
B) una certezza ideale alimentata dall’esperienza di un io che va alla ricerca ogni giorno delle ipotesi di soluzione alle esigenze costitutive del proprio “ cuore” (Giussani) ;
C) un concepirsi in unità con la compagnia del soggetto educante a cui comincia ad appartenere. Allora gli apprendisti imparano a rischiare la totalità del loro io, sia nello specifico della didattica che nello sguardo, pieno di realismo, verso i ragazzi; imparano, vivendo, che l’etimologia del loro mestiere implica un “magis” (di più) che impregna l’etimologia della parola “ magister”, mentre quella dei loro allievi ha insito nel termine “discepolo” il verbo “ discere” (imparare)
Gli apprendisti imparano ad essere autorevoli (non autoritari né permissivi) se pongono in classe una “presenza” (adsum, adesse,, sono di fronte a te) ; tale presenza è fatta dei punti A,B,C soprascritti; essa è confortata di una compagnia educativa che li precede, li sostiene, li rilancia continuamente verso il compito educativo e didattico che è stato loro affidato; cioè sono chiamati ad “esserci” per “e-ducere” (far venire fuori) il “tu” dell’alunno. Gli apprendisti incanalano l’istintività, addestrano la libertà del discepolo dentro l’alveo di un percorso che promette loro una conoscenza conveniente, interessante, che li farà diventare grandi. Gli apprendisti sono gli argini entro cui il torrente dell’adolescenza dei ragazzi non deborda; nello stesso tempo costituiscono il sentiero che il discepolo percorre per non restare, come Peter Pan , nell’Isola che non c’è.
La didattica s’impara nella bottega quotidiana dell’opera, guardando e seguendo i maestri che :
Ti mostrano quali siano i nodi irrinunciabili del programma della disciplina che devi spiegare e consegnare alla ragione e al cuore dei discepoli
Ti fanno imparare come si usa un manuale, quali parti del capitolo , quali documenti soprattutto vanno svolti durante la lezione;
Ti mostrano come deve essere usato uno strumento attinente la tua disciplina, come va preparato, declinato e vissuto un gesto capace di rendere gli alunni protagonisti del sapere che hanno acquisito
Ti fanno vedere come si articolano i tempi e i linguaggi della lezione, qualunque sia l’argomento che devi trattare
Oppure i maestri stessi fanno agli apprendisti una “lectio magistralis”, su che cosa? Per esempio su alcuni contenuti significativi della tradizione pedagogica, didattica dell’opera: per cui una “ lectio” sulla civiltà medioevale, sulle stelle, sull’affettività adolescenziale, sul rapporto sogno/realtà, sull’impressionismo, su Leopardi, Manzoni, Dante Alighieri, Ungaretti, Montale etc…
Infine , ti mostrano come si mantiene la disciplina in classe, il valore della regola, della sanzione che va applicata senza mai dimenticare che, subito dopo, all’alunno va consegnata una strada su cui ricominciare, così che egli non sia mai definito dal suo errore, ma rilanciato sempre dentro un’ipotesi di positività , su cui rilanciare l’uso della sua libertà, della sua ragione, del suo cuore.
Succede che i giovani apprendisti di questo mestiere facilmente si scoraggino di fronte alla drammaticità quotidiana del lavoro educativo-didattico: la delusione delle aspettative, la disattesa di certi progetti, la non corrispondenza affettiva o intellettiva dei discepoli….. i maestri aiutano gli apprendisti a capire che questo affascinante mestiere s’impara nel tempo, dentro un’esperienza fatta di apparenti sconfitte per giungere ad una meta che ancora non si vede, ma che si raggiungerà, nella misura in cui si va in classe sempre a partire da un desiderio e non da un dovere, dallo svolgimento di una mera funzione.
Non si tratta di essere adeguati ai ragazzi, alla materia che s’insegna, ma a se stessi; quella che conta è sempre la lealtà con la propria umanità, è l’impeto appassionato quotidiano con cui l’apprendista vive la passione per il reale : questa è la carta vincente
Sappia l’apprendista che l’errore professionale , il difetto o l’eccesso di sguardo sul discepolo sono le forche caudine da cui passa tutti i giorni e non deve mai scandalizzarsi degli errori della propria strategia didattica o della connivenza sentimentale con i discepoli; questi errori vanno sempre riconosciuti (ringraziando i maestri che te li fanno notare, ma che ti confortano nel riprendere il cammino); questi errori non sono l’obiezione per trasformarsi da impacciati apprendisti e maestri veri; questi errori sono la condizione, attraverso cui passare per diventare autentici educatori.
(Giovanni Mocchetti)