Il convegno “Testimoni di pluralismo: contributo al sistema scolastico nazionale”, tenutosi sabato 21 novembre a Milano e promosso dal Settore per l’educazione scolastica dell’Arcidiocesi di Milano e dalla Fondazione Sacro Cuore, è stato occasione per fare il punto sugli aspetti principali che ruotano attorno alla libertà di educazione e alle condizioni di una sua vera attuazione.

“Purtroppo il nostro paese non riesce ancora ad apprezzare adeguatamente il contributo che la scuola cattolica dà all’educazione e non sa aiutare in modo giusto e concreto le famiglie che la scelgono” ha esordito mons. Carlo Faccendini, vicario episcopale per l’educazione scolastica, aprendo i lavori del convegno, “questo ci rammarica ma non ci fa perdere entusiasmo e convinzione.”

Eppure i principi e gli strumenti affinché ciò accada sono già presenti nella nostra legislazione. “La sussidiarietà è obbligatoria – ha precisato la prof.ssa Poggi, docente di Istituzioni di diritto pubblico,- quando si parla di ambito delle funzioni pubbliche e il livello orizzontale, laddove operano i corpi sociali e civili promossi dai cittadini, deve prevalere sul livello verticale, che prevede l’intervento degli enti pubblici territoriali.”

Ma si continua a eludere ciò, e le forze politiche, sia dell’una che dell’altra parte, intendono la sussidiarietà come funzione di sola supplenza quando lo stato o le sue emanazioni non sono in grado di intervenire. Le relazioni degli economisti presenti hanno mostrato come tale modo di agire, oltre che giuridicamente miope, lo è anche economicamente. I paesi europei a noi più vicini, Francia e Spagna, hanno attuato una vera parità e lo hanno fatto a vantaggio delle casse dello stato e migliorando la qualità delle scuole.

“Tutte le scuole sono dello stato, se lo stato è a servizio dei cittadini e non pretende di essere l’unico soggetto sociale. Vogliamo essere figli legittimi e non adottivi del sistema scolastico nazionale – ha affermato con decisione il presidente dell’assemblea Paolo Sciumé -. Come si fa ad affermare che 2.500 scuole, 115.000 studenti e quasi 18.000 insegnanti e collaboratori, solo in Lombardia, siano un fatto privato? Non lo sono per gli aspetti giuslavoristici, perché devono esserlo per la funzione che svolgono?”

Duecentotrenta milioni di euro come indotto complessivo è la cifra che annualmente le famiglie lombarde che iscrivono i figli alle scuole paritarie mettono in gioco. “Lo stanziamento pubblico va alla scuola statale per il 97% e solo l’1% alla scuola paritaria” ha ricordato Paletta, ma quando si richiamano questi numeri il dibattito scivola sul piano ideologico e si dimenticano i fatti, giustamente ha fatto notare Tommaso Agasisti. “Eppure l’esperienza delle scuole paritarie non è un bene solo nostro, ma appartiene all’intera società” ricorda Faccendini.

 

Un bene particolarmente prezioso in un momento in cui da più parti arrivano preoccupanti segnali di una vera e propria emergenza educativa, che si traduce, come ha illustrato Julian Carròn, docente di teologia all’Università Cattolica, da una parte nel disinteresse dei giovani e dall’altra nella fatica degli adulti a trasmettere le ragioni del vivere.

 

Di fronte a una crisi di fiducia che riguarda tutti, non solo i giovani, la domanda è se esiste una possibilità di ripartire. L’ipotesi presentata da Carròn parte dalla necessità di ricondurre la ragione al suo vero scopo: apertura alla realtà intera e alla scoperta dei fattori irriducibili che la costituiscono. Se insegnanti ed educatori non saranno in grado di condurre i giovani a questa apertura, non potranno ridestarne l’interesse e la possibilità di una reale conoscenza e maturità.

 

Chi insegna non deve chiudersi nello specifico della propria materia ma aiutare i giovani a scoprire la realtà. Una sfida che è quotidianamente raccolta dall’esperienza in atto in molte scuole, frutto di un lavoro di cui Eddo Rigotti si è fatto portavoce, richiamando metodi didattici e principi educativi.

 

Un modo di fare scuola che è una proposta valida per tutti, se poi, come ha dimostrato un’indagine sui diplomati del Sacro Cuore, gli esiti sono più che lusinghieri. “E’ l’inizio di un lavoro, ha detto concludendo i lavori l’avv. Sciumé, frutto di un cammino fatto assieme da tante scuole, che desidera aprirsi a tutte le istituzioni scolastiche, a chiunque appartengano, a vantaggio unicamente dei nostri giovani e quindi della società.”

 

(Massimo Massagli)