Dovrò dare in parte per scontato il fatto che molti di coloro che mi leggono abbiano una minima idea della scuola Waldorf, o almeno dei pilastri fondamentali su cui si regge l’edificio culturale di questa pedagogia inaugurata nel 1919 a Stoccarda da Rudolf Steiner.

Prima di trattare il tema in oggetto, vorrei comunicarvi in tutta franchezza che quando mi viene chiesto di dare un’immagine sintetica di ciò che pedagogicamente caratterizza la nostra attività, non posso trattenermi dal dire che abbiamo perso completamente il significato autentico di molte parole della nostra ricchissima lingua italiana, tra cui il termine ‘educare’ed ‘istruire’, per cui si rende oggi necessario trovare il coraggio di tematizzare la questione dell’educazione, cosa che coinvolge tutta la comunità sia questa continentale, che nazionale e regionale, fino a giungere nel nucleo che storicamente ha il compito di svolgere tale attività, la famiglia. Purtroppo questa non ne ha più il tempo, e quel poco che ha è di scarsa qualità (il tardo pomeriggio quando stanchi si ritorna da lavoro e si vorrebbe riposare, bisogna subito attivarsi per fare ‘funzionare il tutto’ tra cui i ‘benedetti compiti’. La comunità più ampia, intendo le istituzioni in generale, si dibatte cercando di stipulare accordi o patti con la famiglia per rendere possibile ‘educare’, senza il quale non si può istruire. Inoltre anche la ‘famiglia moderna’ è in profonda crisi di cambiamento, insomma non è facile trovare il bandolo della matassa ed immaginare concretamente quali sono i punti di riferimento per i giovani del III millennio. A questo si aggiunge un dato che ha creato una sorta di aspettativa (anticamera di delusioni) nei confronti delle nuove generazioni, e cioè l’idea che sono tutti molto intelligenti, per cui capiscono subito tutto, per cui è relativamente facile istruire. Questo ha portato a celebrare sull’altare dell’istruzione l’insegnamento prevalentemente se non assolutamente intellettuale. Sono quasi completamente spariti dalla scuola dell’obbligo tutta una serie di attività laboratoriali (di cui la mia generazione ne ha un vivo e piacevole ricordo), sostituiti da libri di testo e dispense. Non è stata in altre parola favorita l’attività del ‘fare’, passo fondamentale e propedeutico alla nascita di entusiasmanti domande che manifestano una ‘sincera domanda di conoscenza’. Questo è un primo punto caratterizzante della nostra pedagogia. Partire dal fare esperienze, elaborarle ed arrivare alle leggi che governano i vari ambiti di conoscenza (così viene insegnata tutta la disciplina scientifica) Le implicazioni sul piano sociale di queste scelte sono state molte e pesanti, di cui quella che maggiormente salta agli occhi è l’inabilità dei giovani, l’irrigidimento interiore verso una modalità di conoscere senza immagini vive tratte dall’esperienza con i propri coetanei ed i propri docenti, scuole con indirizzi di serie A e serie B, in una età in cui i giochi sono ancora tutti aperti, se si vuole rispettare un’antropologia attenta all’uomo ed una fiducia nei tempi individuali di crescita.

Ho voluto tracciare queste linee di orientamento delle problematiche che poi scaturiscono un ‘forte disagio giovanile’, senza la capacità ed il coraggio di indagare alle cause prime, cioè all’antropologia, senza la quale non esiste pedagogia alcune.

Dunque la scuola Steiner ha In Italia un desiderio forte di confrontarsi e dialogare con tutte le anime che sentono sinceramente la responsabilità per la formazione dell’uomo e l’impegno di educare alla moralità. Le nostre scuole, da quasi un secolo vivono un ciclo di base che, dopo l’appurata maturità scolare (su cui si apre un universo di attenzioni antropologiche disattese), aprono le porte agli allievi immaginando un percorso di 8 anni, per cui non esiste cesura antropologica che giustifica la separazione tra ‘elementari e medie’, dopo la quinta c’è la sesta, la settima e l’ottava, a compimento della quale c’è il primo esame di Stato. Per cui i docenti delle nostre scuole accompagnano, in condivisione con le famiglie, il percorso formativo per molti anni. Questa lunga fase di continuità educativa ci permette di entrare in relazione con gli allievi e di restarvi per molti anni, quindi il tema ‘medie’ è così da riformulare : ‘Come accompagniamo l’allievo lungo il percorso di formazione, ed in particolar modo in VI, VII ed VIII, in cui gli aspetti puberali affiorano e si manifestano?’.

Nasce la tematica idea della comunità educante, che è tutta da sviluppare, come pure la condivisione tra i singoli insegnati che fanno parte di un collegio di docenti che si sforza di risultare agli occhi e non solo, dei giovani in crescita, uomini che non si adagiano sulle ‘frasi fatte’, ma che tematizzano aspetti scottanti quali:

-Si può educare senza autoeducarsi?

-Possiamo chiedere ai giovani del III millennio, così scarno di valori di averne?

E’ morale fare scelte pedagogiche sotto la pressione della sfera economico-politica?

Quanto incide nella vita di un uomo la sua educazione che inizia il primo giorno di scuola con entusiasmo o paure?

Che valore ha nella formazione una figura ‘perno’, come il tutor di classe che accompagna la biografia di un allievo per anni?

Che valore diamo all’arte nella formazione morale dell’uomo?

-La ricerca, non adagiarsi mai sulle conquiste pedagogiche, ma tenere viva la curiosità antropologica.

Potremmo andare avanti così per molto tempo, e forse, se non lo faremo in libertà, dovremo farlo per necessità quando oramai sarà difficile ‘raddrizzare la piega’.

Vorrei concludere con un’ultima immagine che riguarda proprio questa tappa evolutiva dei 12, 13 e 14 anni, proprio quando i ragazzi vogliono andare verso il mondo delle esperienze ed inizia un’adolescenza che spesso non termina nell’arco di una vita. E’ come se questi giovani, immaginando di viaggiare a bordo di un aereo, ad un certo momento sentissero la curiosità di andare nella cabina di pilotaggio, per forse scoprire che non c’è nessuno!

Spero di aver dato un contributo minimo ai nostri comuni pensieri sui giovani, che sono il vero patrimonio dell’umanità futura e quindi merita il giusto investimento di forse spirituali, animiche ed economiche. Forse più avanti sarebbe interessante trattare il tema della ‘libertà di educazione’, altrettanto scottante nel panorama italiano ed  europeo.

(Sabino Pavone)