Nel disegno di legge attualmente in discussione presso la VII Commissione Istruzione della Camera, realizzato dall’on. Valentina Aprea, si prospetta un cambiamento epocale del sistema nazionale di istruzione, che andrebbe ben al di là delle proposte e delle logiche di riforma sino ad oggi concepite.

Non abbiamo intenzione, in questa sede, di entrare nel merito di un argomento così complesso, articolato e ancora in divenire, bensì di soffermarci a considerare brevemente alcuni elementi della proposta, contenuta nel medesimo disegno di legge, di chiamata diretta degli insegnanti da parte delle scuole come nuova modalità di reclutamento.

E’ materia, infatti, su cui in questi giorni si è concentrato gran parte del dibattito fra gli addetti ai lavori e che ha provocato una massiccia “alzata di scudi” da parte dei sindacati, preoccupatissimi di perdere la ben nota influenza sulla categoria.

Riteniamo, tuttavia, che le scuole paritarie abbiano, su questo tema, qualcosa da dire o, meglio, da raccontare.

La chiamata diretta dei docenti è infatti una prassi consolidata nelle scuole non statali e, nello stesso tempo, una conquista irrinunciabile. Sull’identità, la motivazione, la competenza (o quantomeno la disponibilità a intraprendere un percorso formativo serio), si basa la scelta dei docenti delle scuole paritarie, chiamati a condividere un progetto educativo certo e le ragioni ideali che stanno all’origine dell’esistenza della scuola. Questo non significa accettazione supina di un credo religioso o di scelte “confessionali”, bensì consapevolezza del “chi propone che cosa” e disponibilità a verificarne le ragioni, immedesimandosi con esse.

I docenti delle scuole paritarie, che devono in base alla L. 62/2000 essere in possesso di abilitazione o perlomeno essere “incamminati” per conseguirla, certamente devono svolgere i medesimi programmi dei colleghi della scuola statale, e far sì che gli alunni apprendano e apprendano bene, ma con una coscienza dello scopo e una attenzione al metodo per raggiungerlo continuamente provocata dall’identità della scuola, sia essa legata ad un carisma religioso o di origine laica.

Le numerose esperienze didattiche raccontate nello spazio della rubrica IlParitario.net sono prova e documentazione dell’utilità della chiamata diretta, e ci dicono che questa sarebbe la strada giusta per tutti.

Se è vero, tra l’altro, che essa permetterebbe di scegliere i docenti in base alle caratteristiche richieste dall’identità della scuola (e questo non può ridursi ai titoli di studio né essere determinato semplicemente da essi….), è altrettanto vero anche il movimento opposto: in una situazione di “libera professione”, diventerebbe possibile ai docenti proporsi e far valere titoli, esperienze e motivazioni ideali. Oggi, invece, le scuole statali pescano da “pentoloni” in cui l’elemento discriminante è unicamente il punteggio determinato dai titoli e dall’anzianità di servizio. Chi sia il docente che poi prende servizio non si sa; se sia interessato o meno, se abbia capacità educative o meno, se condivida o no il progetto formativo. Un profilo impiegatizio, dunque, che mal si addice a una professione in cui la motivazione ideale e la passione educativa sarebbero determinanti.

La condivisione dell’impostazione educativa dettata dall’identità dell’ente gestore, invece, spinge il docente ad una più intensa partecipazione alla vita della scuola nelle sue molteplici espressioni, e a una efficace attività di ricerca e sperimentazione didattica, poiché si sviluppa un forte senso di appartenenza e, con esso, il desiderio di curare sempre di più la propria professione in tutti i suoi aspetti.

Di questo ha bisogno anche la scuola statale per poter far fronte all’emergenza educativa sempre più evidente. Senza una reale autonomia di tutte le istituzioni scolastiche, anche per ciò che attiene all’arruolamento dei docenti, difficilmente potrà realizzarsi quel recupero di credibilità e di efficacia dell’insegnamento che è a fondamento del buon funzionamento di qualsiasi scuola, statale o paritaria che sia.