Settimana scorsa abbiamo affermato che la chiamata diretta dei docenti nelle scuole paritarie funziona; perché non sembrino solo affermazioni preconcette, questa settimana proponiamo un interessante percorso realizzato da una docente della scuola “P.G. Frassati” di Seveso. Nel corso di quest’anno, in questa rubrica, ne abbiamo già proposti diversi; questo, infatti, è  “solo” uno dei tanti possibili esempi di passione educativa che nelle scuole paritarie, favorita dalle condizioni descritte nel precedente articolo, si traduce in creatività didattica e dà sorprendenti frutti.

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Se educare alla musica significa guidare alla scoperta di un linguaggio, alla presa di coscienza degli elementi che lo costituiscono così da potersi esprimere con essi e poter comprendere la realtà nel suo aspetto di organizzazione di suoni, risulta indispensabile il fare esperienza, il poter “parlare “questo linguaggio appena possibile, secondo il percorso più adeguato all’età e al contesto, poter quindi capire presto “di cosa si tratta”.

Il fare musica con la voce e con lo strumento costituisce il momento privilegiato per poter prendere coscienza di cosa è fatto il linguaggio dei suoni. Cantare in classe, apprendendo per imitazione, ma il più delle volte poi seguendo uno spartito, canti tratti dalle tradizioni italiana, spagnola e inglese, con divertenti percorsi tra la musica a canone e quella polifonica, tra canti degli alpini e spirituals americani, fornisce sempre spunti e contenuti per scoprire a poco a poco i segni e i significati del linguaggio e mette in azione le capacità di tutti senza discriminazioni o senza problemi di tecnica.

La proposta di suonare uno strumento sembra a volte incontrare, invece, dubbi e perplessità da parte di molti docenti. Ci si chiede quale sia lo strumento più adatto, quale il livello tecnico richiesto per poter fare qualcosa di significativo, quale il percorso nei tre anni, quale il punto d’arrivo.Noi abbiamo scoperto che, accanto alla pratica corale, il fare musica con il flauto diritto (non chiamiamolo piffero, vi prego!) e con gli strumenti che si vogliono aggiungere, è un’esperienza utile e gratificante per tutti, anche per i meno dotati di coordinazione, d’intonazione e di senso ritmico, e una preziosa chiave d’accesso ad una vera conoscenza del linguaggio. 

Ma vediamo di affrontare i dubbi e le obiezioni e di esemplificare.

Innanzitutto la scelta degli strumenti. A gennaio del primo anno della scuola secondaria di primo grado, dopo un trimestre di canto corale, di lettura cantata delle note, di laboratorio di ritmica e di canone parlato a vari livelli, tutti iniziano il percorso con il flauto diritto. E’ uno strumento economico, quelli di buona marca hanno un suono gradevole, è possibile per tutti gli alunni tenerlo in mano, soffiarci dentro con qualche nozione di respirazione ben assestata, chiudere qualche buco e provare qualche suono. Importantissimo è individuare il metodo di studio più efficace – che scopriamo e sperimentiamo subito avvicinando i primi brani con tre note -, quali passaggi sono necessari e quali sistemi vanno utilizzati per leggere senza fatica il brano. Strada facendo, qualcuno che studia un altro strumento in scuole di musica si propone per la musica d’insieme in classe e così spesso ci troviamo violini, clarinetti, chitarre e perfino una tromba a suonare in alcuni brani accanto ai flauti. Il tutto poi ha dato vita anche al laboratorio strumentale presente nella nostra scuola.

Poi la scelta del repertorio. I primi brani sono subito accattivanti, con basi registrate che sostengono le tre misere note che ci tocca suonare e il risultato sembra veramente quello di una grande orchestra. Non parliamo poi di quando il brano s’intitola “Little rock” o “Il soffio del blues”. E così andiamo avanti, direi senza traumi, fino alla fine dell’anno, arrivando a suonare con sicurezza 5/6 note della scala di do. Intanto però impariamo anche a comporre con tre notte alcuni semplici branetti sul pentagramma e scopriamo, provando e riprovando, che certe soluzioni per abbinare ritmi e suoni o per concludere parti del brano, ci sembrano meglio di altre e ognuno, da bravo compositore, prova e cancella, suona, prova a cambiare note, ri-suona…..tutto con qualche nota e qualche ritmo semplice. Alla fine si sceglie anche il titolo.

Il secondo anno il percorso si fa …..polifonico. Iniziamo, sempre con i pochi suoni che sappiamo eseguire e aggiungendone altri 4 o 5 durante l’anno, a suonare a canone e ad avvicinare spartiti in cui la classe è divisa in due o tre parti per poter avere un brano polifonico in piena regola. Un’esperienza sempre interessante riguardo al repertorio è l’esecuzione di brani di epoca medioevale e rinascimentale. Avvicinare suonando la musica strumentale di quella tradizione ci permette di conoscere veramente (e non sottolineando un testo o compilando una scheda) la tradizione dei canti dei menestrelli, della musica eseguita nei pellegrinaggi e delle danze di corte, gli usi musicali dell’epoca e le soluzioni compositive utilizzate.

Nel febbraio 2008 un piccolo gruppo di alunni appassionati e assolutamente volontari ha partecipato ad un concerto di musiche per flauto diritto in una Sala pubblica, eseguendo facili brani in piccoli gruppi e addirittura accompagnando i concertisti in un brano finale molto complesso. Nella pratica quotidiana in classe tutti hanno la possibilità di suonare con soddisfazione perché noi docenti adattiamo e rielaboriamo le varie parti secondo diversi livelli di difficoltà e in questo modo quindi tutti gli alunni risultano indispensabili per l’esecuzione finale, sia i super musicisti sia chi, più semplicemente, deve accompagnare con note lunghe e buon senso ritmico la melodia principale.

Per tutti ancora è l’occasione di imparare a comporre. Si scopre così cosa vuol dire scala maggiore e minore, quali problemi implica finire con una pausa o con un suono troppo corto, quali soluzioni di forma abbiamo a disposizione e soprattutto quali ci soddisfano maggiormente. Si scoprono veri talenti, che non sono immediatamente gli alunni più studiosi o i più impegnati; tutti provano la loro personale strada sullo strumento e la eseguono per il pubblico della classe.

Abbiamo “la musica tra le mani” nel senso letterale del termine.

Un giovedì mattina, prima ora in una seconda di “agitati”. Si parte da due battute di un brano del Rinascimento che abbiamo già eseguito, l’idea, il nucleo centrale del futuro brano da noi elaborato. Poi la forma. Qualcuno aggiunge altre battute, poi osa un ritornello con due finali, qualcuno pensa di dividere il brano in strofe. Tutti con la testa china e il flauto in mano, pronti a provare quello che hanno scritto. Un’ora di composizione alla maniera di un anonimo del 1500.

Ecco, li abbiamo a portati a conoscere il linguaggio al punto da utilizzarlo veramente come ci eravamo proposti. Eseguono la musica, sanno di cosa è fatta, seguono uno spartito e si orientano bene, anche se è scritta su più parti; sanno cosa vuol dire scala, tonica e dominante non perché hanno studiato la definizione ma perché hanno provato nella pratica le caratteristiche e la loro funzione.

Tutto ciò porta in terza a togliere il flauto dalla bocca (molti chiedono di continuare nel laboratorio strumentale che proponiamo nel pomeriggio come attività opzionale) e avvicinare vari generi musicali di epoche e stili differenti per prepararci all’esame di stato. Ma ormai non si parla più di storia della musica dal testo, ora lavoriamo esaminando partiture che sappiamo capire, ascoltando direttamente dalla musica le caratteristiche del linguaggio che quel musicista ha utilizzato e documentandoci sugli aspetti biografici e storici che ci interessano.

In questo percorso è possibile osservare “con le orecchie” e capire il Don Giovanni di Mozart, la storia del Blues, la musica per l’immagine e le canzoni degli U2, avvicinando da vari punti di vista i generi e soprattutto continuando l’avventura di scoprire personalmente, via via, senza nozioni aggiunte all’ultimo, i particolari della struttura di un brano e porsi qualche domanda davvero interessante sul significato.

Dal “Soffio del blues”, attraverso il rondellus del Rinascimento, passando dagli spirituals e dai canti degli alpini, arriviamo al Bolero di Ravel sapendo veramente “di cosa si tratta”..

Prof. Carla Pastormerlo