Dopo la trasmissione di RAI 3 sulla scuola, abbiamo assistito – e partecipato – ad un serrato dibattito, che ha toccato diversi aspetti della questione parità. Abbiamo notato ancora una volta, con amarezza, che i toni si inaspriscono immediatamente quando si entra nel merito del diritto ad un equo trattamento per le scuole non statali ed anche per le famiglie che le scelgono, facilmente arrivando all’insulto da parte di chi è contrario.
Particolarmente acidi, poi, sono stati i commenti nei confronti della Dote scuola lombarda, “sapientemente” presentata dalla trasmissione come “il top” dell’iniquità. Questo risultato è stato ottenuto creando confusione – non sappiamo se ad arte o per manifesta ignoranza – fra competenze regionali e nazionali sull’istruzione, e conseguentemente fra i relativi finanziamenti; inoltre, attraverso un approccio superficiale e ideologico, non è stato presentato l’argomento nei suoi termini completi e corretti, producendo in tal modo una visione distorta e assolutamente parziale della questione.
Desideriamo, pertanto, provare a fare un po’ di ordine, mettendo in evidenza alcuni particolari non irrilevanti, taciuti invece durante la trasmissione.
Innanzitutto, occorre tenere presente che la Dote rientra fra le competenze regionali sull’istruzione (le Regioni non possono intervenire sui finanziamenti statali) ed è stata pensata per sostituire e ampliare quelle misere provvidenze, molto simili a “carità pelosa”, che in quasi tutte le altre regioni si trovano sotto la voce del “Diritto allo studio” e prevedono minuscoli assegni per famiglie con ISEE – in genere – fino a 10.633 euro, che significa avere un reddito davvero al limite della sussistenza.
Dopo una breve parentesi “felice”, a seguito della legge 62/2000 e al correlato DPCM 14 febbraio 2001 n° 106 (finanziamento statale alle Regioni per l’erogazione di borse di studio), in cui diverse regioni avevano introdotto il Buono Scuola per rimborsare alle famiglie, almeno in parte, i costi sostenuti a causa delle rette per l’iscrizione e la frequenza dei figli in scuole paritarie, si è rapidamente tornati quasi ovunque (ad eccezione di pochissimi esempi “virtuosi”) alla situazione attuale. Ora, infatti, il buono scuola è stato eliminato e l’assegno di studio -che va da un minimo di qualche decina ad un massimo di poche centinaia di euro- riguarda indistintamente gli studenti di scuole statali e di scuole paritarie, senza assolutamente tenere conto di un fatto assolutamente decisivo e, questo sì, discriminatorio: le famiglie che – come previsto dalla nostra Costituzione – esercitano la libertà di scelta educativa e iscrivono i propri figli alle scuole paritarie, pagano due volte il diritto all’istruzione (nelle tasse e con le rette scolastiche) e ricevono, al massimo, poche centinaia di euro, ma – attenzione – solo se sono al limite della sussistenza.
La Legge 10/3/2000, n° 62, recante ”Norme per la parità scolastica e sul diritto allo studio e all’istruzione” prevede l’erogazione alle famiglie degli alunni delle scuole statali e paritarie (elementari, medie inferiori e medie superiori), che versano in condizioni di maggiore svantaggio economico, di borse di studio a sostegno delle spese sostenute per l’istruzione dei propri figli.
Con D.P.C.M. 14/2/2001, n° 106, pubblicato nella G.U. del 10/4/2001, sono stati dettati i principi e le norme attuative, nell’ambito dei quali le Regioni, a loro volta, devono definire le modalità operative applicabili nell’ambito territoriale di pertinenza per l’accesso concreto al beneficio.
Ai sensi del medesimo provvedimento viene adottato annualmente il piano di riparto tra le Regioni e le Province Autonome.
Da qui si comprende dunque per quale motivo la Regione Lombardia ha stanziato fondi diversi per il sostegno al reddito e per permettere la libertà di scelta educativa, introducendo due parametri di reddito assolutamente diversificati: le famiglie che mandano i propri figli alle scuole paritarie devono pagare una retta, a differenza di quelli della scuola statale, e pertanto se si vuole permettere loro una maggiore possibilità di esercitare un diritto costituzionalmente riconosciuto, è necessario sostenerle economicamente, anche a fronte del risparmio oggettivo che consentono allo Stato.
Come ha scritto sul sussidiario.net Giancarlo Tettamanti pochi giorni fa, «i beneficiari della “parità” non sono gli Enti gestori: sono le famiglie. Riconoscerle compiutamente è una questione di giustizia sociale e di rispetto dei diritti di ognuno e di tutti. Il sostegno per coloro che frequentano scuole non statali paritarie va ritenuto doveroso, derivando, per lo Stato, l’onere finanziario, per assicurare al cittadino la gratuità dell’obbligo e del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, dall’inalienabile diritto costituzionale che egli ha per il fatto stesso di essere nato e non per il fatto di frequentare o meno la scuola dello Stato». Infatti, prosegue Tettamanti, «se l’istruzione è, oltre che diritto individuale, anche “bene pubblico”, discendono alcune conseguenze: è compito pubblico (cioè dello Stato-comunità, della Repubblica) rendere effettivo su un piano di parità tale diritto; non è possibile – anzi, è illegittimo alla luce della Costituzione – limitare tale libertà introducendo ragioni di disparità economica; è compito dello Stato-comunità, in quanto l’istruzione è bene pubblico, sostenerne economicamente il conseguimento; va attivata una modalità equitativa per realizzare sia la libertà di scelta sia il sostegno economico. Va quindi riconosciuta a genitori e famiglie la loro responsabilità educativa e condizioni di pari dignità e di uguaglianza nella scelta della scuola».
Se alle famiglie che decidono per la scuola paritaria (paritaria) e perciò sono tenute a pagare per l’istruzione, si riconosce il medesimo trattamento riservato a quelle che decidono per la scuola statale e per questo non pagano, si produce una grave situazione di discriminazione. E così è in effetti, anche per quelle famiglie che hanno un reddito elevato e che la trasmissione di RAI 3 ha sottilmente dileggiato. Anche per queste, infatti, vale quanto l’art. 1 della legge 62/2000 (legge dello Stato) dice con chiarezza, e cioè che del sistema nazionale di istruzione fanno parte sia le scuole statali, sia le paritarie, con pari dignità. Pertanto, visto il dettato costituzionale, vista la legge di parità, ci chiediamo per quale motivo una famiglia benestante ha diritto a far frequentare ai propri figli la scuola dell’obbligo, in via assolutamente gratuita, presso una scuola statale, mentre deve pagare il servizio se frequentano una paritaria. Delle due l’una: o una famiglia agiata, proprio perché tale, deve pagare in ogni caso (anche parzialmente) l’istruzione dei figli e allora si abbia il coraggio di modificare la Costituzione, o dovrà usufruire delle stesse condizioni, perché sono gli stessi cittadini i cui diritti sono garantiti dalla stessa Costituzione.
La Regione Lombardia ha cercato, con la Dote, di incidere anche su questo aspetto e, pur non risolvendolo totalmente, ha indicato a tutti una strada per una soluzione almeno parziale.
Abbiamo detto “anche” perché in realtà, la tanto vituperata Dote Scuola, prende in considerazione una molteplicità di esigenze legate all’istruzione:
È sicuramente perfettibile e non totalmente risolutivo della annosa questione della parità scolastica; “sputare sul brodo grasso” della Regione Lombardia, però, come stanno facendo tante persone mosse da livore ideologico o da disinformazione programmata, è davvero uno scandalo.
(Marco Lepore)