In un comunicato congiunto del 15 aprile 2010 dal titolo Puntare sulle riforme pensando alle nuove generazioni le maggiori organizzazioni rappresentative delle scuole paritarie hanno sollecitato il Governo a reinvestire “le risorse recuperate dalla razionalizzazione del sistema scolastico” nello stesso settore, “per attuare l’autonomia delle scuole e accrescerne la qualità, per valorizzare secondo il merito la professionalità dei docenti, per garantire la libertà di scelta delle famiglie e la piena parità fra istituti statali e non statali”. Il comunicato aggiunge poi che “una vera ed efficace razionalizzazione del sistema nazionale di istruzione non può non tenere conto dell’enorme risparmio che le scuole paritarie garantiscono allo Stato”, e auspica perciò adeguati provvedimenti legislativi che agevolino economicamente le famiglie che scelgono la scuola paritaria, cosa che libererebbe “ulteriori risorse finanziarie utili all’intero settore”.
Sono tematiche note e ribattute da anni ma c’è un accento nuovo, sempre più ricorrente: la scuola paritaria è un bene per tutti. Il trattamento riservato alla scuola paritaria appare sempre di più come la cartina al tornasole del trattamento che subisce tutta la scuola. E non solo perché la scuola paritaria, insieme alla scuola statale, va a comporre il sistema nazionale dell’istruzione, come stabilisce la legge 62/2000, di cui quest’anno ricorre il decennale. Ma anche, e soprattutto, perché, per rispondere all’emergenza educativa dei nostri tempi, occorre “sostenere lo sforzo educativo delle famiglie e delle scuole”. Che questo avvenga, per la scuola paritaria è vitale, non può sopravvivere altrimenti. Ma che avvenga o non avvenga, ne va della scuola, di tutta la scuola: perché senza “garantire libertà di educazione e qualità dell’insegnamento” sarà inevitabile “veder crescere insuccessi e insoddisfazione dei giovani nella scuola”. Cioè la deriva indotta dallo svuotamento della dimensione educativa. In questo la scuola statale e la scuola paritaria insieme stanno o insieme cadono. Sarebbe ora che la comunità civile, e anche la comunità cristiana, ne abbiano coscienza (si veda per tutti il volume a cura della CEI La sfida educativa, Laterza 2009).
Ma perché allora vale la pena sostenere, con la propria preferenza o con il proprio lavoro, una scuola libera? Per me, preside di scuola paritaria, la risposta è questa: perché le scuole paritarie sono il modello dell’autonomia scolastica, e perciò sono nelle condizioni di rappresentare il lievito del futuro sistema di istruzione. Ma questo non basta. Perché valga veramente la pena, occorre che queste condizioni siano attuate, in modo che nella scuola sia possibile testimoniare, facendola riaccadere, la vera natura dell’educazione. Che sta tutta nel trattare l’altro secondo la dignità della sua persona, in modo da tenerne desta la domanda di verità, di giustizia e di felicità. E coniugando in vista di questo disciplina e libertà. Almeno come tentativo, come scopo ultimo da tener sempre presente, da parte nostra.
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Nella nostra scuola, questo ancora accade. Accade che un genitore ci scriva: “Non ci sono parole a sufficienza per descrivere quanto questa scuola ha dato ai miei figli. Con questo non voglio certo dire che in questa scuola tutto viene facile! Anzi, proprio nei momenti di maggior difficoltà o di precarietà, a mio parere, sono stati impartiti gli insegnamenti che più di tutti andavano a segno nel cuore dei ragazzi. Un appello ai genitori: non temete se a volte i vostri figli arrivano a casa con una nota o con un brutto voto, vi assicuro che gli insegnanti vogliono solo ed esclusivamente il bene dei vostri ragazzi”.
Accade, come testimonia un insegnante, che dei ragazzini, alla fine di un corso di approfondimento, si scoprano amici tra loro. Non perché si frequentassero, ma perché stavano di fronte alla stessa cosa, perché erano animati dalla medesima passione, e perché hanno visto a cosa può portare una vita spesa nello stupore e nella ricerca del significato.
Accade che un’insegnante giovane scriva ad una più “anziana”: “carissima, volevo ringraziarti per avermi dato l’opportunità di venire con te. Con saggezza e un amorevole sguardo verso i ragazzi hai saputo farmi vedere quanto valgono ma anche le loro fragilità; mi hai dato una nuova prospettiva che mi aiuterà molto a lavorare con loro. Sapevo che erano simpatici ma non conoscevo ancora il loro cuore; mi sono divertita ma anche emozionata nel vederli così trasparenti. Venerdì ho percepito che per loro era stato importante quello che hanno visto, ma soprattutto essere stati accettati ed aver avuto l’opportunità di scegliere e partecipare alle decisioni. Pochi adulti perdono tempo con loro e li abituano a prendere decisioni. Che peccato….! Ho imparato molto da te e da loro e continuo ad imparare, grazie tante di cuore”.
C’è un principio cardine della pedagogia cristiana, che si può ritrovare pari pari nella Caritas in Veritate: mettere al centro il bisogno vero della persona, cioè dell’uomo intero. Allora tutto converge nella dimensione dell’intero, e nell’intero tutto acquista il suo senso. Cioè diventa cultura.
Ma dev’essere un principio non solo proclamato, ma che si vede nell’esperienza, che diventa trasparente nella carne, che scaturisce nell’evidenza della realtà. Che la scuola sia fatta perché riaccada il fatto educativo, e non per calcoli di bottega. È questa la vera discriminante, non tra scuole statali e scuole paritarie, ma, semplicemente, tra scuola e non scuola.
(Marco Nardone)