Ancora, secondo quanto riportano le agenzie di stampa, non è stato depositato presso il Tribunale di Milano l’atto di recesso con cui ArcelorMittal intende far cessare il contratto di affitto e “restituire” l’ex Ilva ai commissari straordinari. I quali, da parte loro, sono già pronti a presentare un ricorso d’urgenza evidenziando la mancanza delle condizioni giuridiche per il recesso. Il Premier Conte ha già detto che “se ci sarà un contenzioso legale con ArcelorMittal sarà la battaglia del secolo”. Per provare a capire come potrebbe evolvere il caso Ilva sul piano legale abbiamo chiesto un commento a Enzo Di Salvatore, professore di diritto costituzionale all’Università di Teramo, che conosce i dettagli dei documenti più importanti del caso, a partire dal contratto da cui ArcelorMittal intende recedere.
Si discute molto sul fatto che ArcelorMittal possa recedere dal contratto in considerazione della decadenza del cosiddetto “scudo penale”. Come stanno realmente le cose?
ArcelorMittal ha sottoscritto un contratto di affitto con obbligo di acquisto di rami d’azienda nel giugno 2017 e un addendum nel settembre 2018. Nell’atto di citazione presentato presso il Tribunale di Milano, ArcelorMittal sostiene di avere il diritto di recedere, in quanto l’art. 27.5 del contratto stabilisce che l’affittuario possa farlo quando un provvedimento legislativo comporti «l’annullamento in parte qua» del DPCM che ha approvato il Piano ambientale, in maniera «tale da rendere impossibile l’esercizio dello stabilimento di Taranto” oppure “modifiche al Piano ambientale (…) che rendano non più realizzabile, sotto il profilo tecnico e/o economico, il Piano industriale». A me non pare che ciò possa essere riferito direttamente alla questione dello “scudo penale”, come, del resto, il riferimento del contratto al profilo tecnico e/o economico starebbe a provare: l’abrogazione dell’immunità non rende impossibile, per ciò solo, l’esercizio dello stabilimento e non incide in via immediata né sul profilo tecnico, né su quello economico. D’altra parte, se questa fosse l’interpretazione da rendere alle clausole del contratto, dovremmo anche ammettere che, in realtà, il recesso prescinda dalla volontà delle parti e da quella del legislatore e che dipenda, più propriamente, da ciò che potrebbe decidere sul punto la Corte costituzionale:
A cosa si riferisce?
Aver abrogato la “protezione legale” ha comportato, infatti, che la Corte costituzionale restituisse gli atti al giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Taranto (affinché tornasse a valutare la “rilevanza” della questione), il quale l’8 febbraio 2019 aveva sollevato alcune questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 6, del decreto-legge n. 1 del 2015, che quella immunità penale prevedeva, per ritenuto contrasto con gli artt. 3, 24, 32, 35, 41, 112 e 117, comma primo, della Costituzione (quest’ultimo in relazione agli artt. 2, 8 e 13 della Cedu). Se l’immunità dovesse essere reintrodotta, il giudice tornerà nuovamente a porre la questione dinanzi alla Corte costituzionale e, a quel punto, non potrebbe escludersi una pronuncia di illegittimità della Corte. Ma questo è un rischio già noto da tempo: dal 2015, appunto.
Ha quindi ragione chi ritiene che quello dello scudo penale sia solo un “pretesto” da parte di ArcelorMittal?
La verità è che quello dello “scudo penale” è un argomento solo strumentale, come dimostra anche il fatto che il Governo si sia offerto di reintrodurlo e che ArcelorMittal lo abbia “rifiutato”, ammettendo che detta misura non sarebbe comunque dirimente. Basterebbe leggere con attenzione anche l’atto di citazione, ove si dice: «In ogni caso, anche se la Protezione Legale fosse ripristinata, non sarebbe possibile eseguire il Contratto perché gli altiforni dell’area a caldo saranno spenti a causa dei fatti e dei conseguenti effetti descritti nel precedente paragrafo II.8» (il riferimento è qui alle note vicende relative al sequestro (e alla facoltà d’uso) dell’altoforno 2). Insomma, a me sembra che la decisione di recedere sia condizionata più da logiche di mercato che da altro. E forse ArcelorMittal spera in questo modo di alzare la posta in gioco e portare il Governo a una nuova contrattazione.
Come ha appena detto, ArcelorMittal giustifica la decisione del recesso anche sulla base dei provvedimenti del Tribunale di Taranto che impongono dei lavori sull’altoforno 2 entro il prossimo 13 dicembre, pena il suo spegnimento…
Questione diversa dallo “scudo penale” è quella relativa all’altoforno 2, rispetto al quale ArcelorMittal si duole del fatto che, essendo impossibile rispettare le prescrizioni previste, e cioè effettuare i lavori di adeguamento necessari entro la scadenza dei termini stabiliti, l’altoforno potrebbe essere spento in esecuzione di un ordine dell’autorità giudiziaria, con gravi conseguenze per l’attività produttiva, anche in considerazione del fatto che quello di Taranto è l’unico stabilimento siderurgico a “ciclo integrale”. In questa evenienza lo “scudo penale” non servirebbe a niente.
Perché?
Nel giugno 2015, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Taranto aveva convalidato il decreto del pubblico ministero che disponeva il sequestro preventivo di quell’impianto, senza facoltà d’uso, dopo la morte di Alessandro Moricella, operaio dell’Ilva. A quel punto il Governo Renzi interveniva con un decreto legge (d.l. n. 92 del 2015), prevedendo che «al fine di garantire il necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva, di salvaguardia dell’occupazione, della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente salubre, nonché delle finalità di giustizia, l’esercizio dell’attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale non è impedito dal provvedimento di sequestro (…) quando lo stesso si riferisca ad ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori». Nel febbraio 2018, quindi, la Corte costituzionale dichiarava illegittimo tale decreto (sent. n. 58 del 2018). Ragion per cui oggi sarebbe impossibile reintrodurre una qualsivoglia misura legislativa che consentisse ad ArcelorMittal di continuare a utilizzare l’altoforno oltre la scadenza dei termini. Ma ci sono ancora due osservazioni da svolgere.
Quali?
Anzitutto, come si legge anche nell’ordinanza n. 204 del 2019 della Corte costituzionale, fra le obbligazioni assunte da ArcelorMittal «vi è anche quella di esercitare, compatibilmente con i sequestri e il piano ambientale, le attività imprenditoriali cui sono destinati i rami d’azienda, in coerenza con quanto previsto nel piano industriale, assicurando la continuità produttiva degli stabilimenti industriali». In secondo luogo, il contratto di affitto prevede espressamente che l’obbligo di acquisto dei rami d’azienda sussista in capo ad ArcelorMittal solo a condizione che prima della data di scadenza del contratto d’affitto si sia verificata la revoca o comunque la definitiva perdita d’efficacia dei sequestri, rispetto ai beni e alle attività dei rami d’azienda, e che se non dovessero verificarsi tali condizioni allora potrà essere esercitata la retrocessione dei rami d’azienda. Discutibile anche questa previsione. Ma stiamo comunque parlando dell’acquisto, non dell’affitto.
Esiste una qualche penale nel caso ArcelorMittal lasci l’ex Ilva?
Se il recesso è ingiustificato sicuramente. Il contratto d’affitto prevede diverse penali. Per esempio, nel caso di violazione dell’obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali e degli impegni sindacali assunti la penale prevista è pari a 150.000 euro per ogni dipendente nei cui confronti si sia verificato l’inadempimento. Oppure qualora ArcelorMittal non dovesse provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti: in questo caso, sarebbe tenuto a corrispondere una penale pari all’importo degli interventi non eseguiti. Oppure in caso di violazione degli obblighi informativi: in questo caso, la penale ammonterebbe a 50.000 euro per ogni singola violazione e per ogni giorno di ritardo nell’adempimento. E così via.
È vero che ArcelorMittal, comunque vada, ha già acquisito il “portafoglio clienti” dell’ex Ilva e potrà quindi rifornire con il suo acciaio il grosso delle imprese italiane anche senza produrre a Taranto?
Questo è ciò che si legge su alcuni quotidiani ed è probabile che sia così, ma non saprei esprimere una valutazione sul punto e dire, come pure qualcuno sostiene, che dietro le decisioni di ArcelorMittal vi sia una strategia di mercato di questo tipo.