Notizie importanti per l’ex Ilva. Anzitutto, nella giornata di ieri ArcelorMittal ha annunciato in una nota di avere “perfezionato un accordo di investimento con Invitalia formando una partnership pubblico-privata tra le parti. Invitalia ha investito 400 milioni € nel capitale sociale di AM InvestCo Italy, la società controllata da ArcelorMittal che ha sottoscritto il contratto di affitto e acquisto dei rami d’azienda di Ilva, in tale modo ottenendo una partecipazione al capitale sociale pari al 38% e diritti di voto pari al 50%. La società a controllo congiunto AM InvestCo Italy sarà rinominata Acciaierie d’Italia Holding e la sua principale controllata operativa ArcelorMittal Italia sarà rinominata Acciaierie d’Italia“.



L’intesa prevede un secondo investimento di capitale a maggio 2022 da parte di Invitalia per 680 milioni di euro che porterà la partecipazione di Invitalia nel capitale sociale di Acciaierie d’Italia al 60%, mentre ArcelorMittal dovrebbe investire fino a 70 milioni per mantenere una partecipazione pari al 40% e il controllo congiunto sulla società.



L’assetto societario è sistemato dopo che la revoca dello scudo penale aveva avviato un contenzioso calmierato in un primo momento a marzo 2020, risolto poi a dicembre dello scorso anno e perfezionato ieri con questo primo investimento di Invitalia.

L’altra notizia rilevante è che poco più di 24 ore fa – mentre gli operai dell’ex Ilva scioperavano a sostegno del collega licenziato per il post su Facebook e per una situazione sempre più insostenibile – con un comunicato congiunto firmato da Fincantieri, ArcelorMittal e Paul Wurth Italia si è resa nota la sottoscrizione di un memorandum d’intesa per la realizzazione di un progetto finalizzato alla riconversione del ciclo integrale esistente dell’acciaieria di Taranto secondo tecnologie ecologicamente compatibili.



L’accordo prevede l’implementazione di nuove tecnologie per migliorare l’impatto ambientale oltre all’individuazione di progetti innovativi per il contenimento delle emissioni. Inoltre, la presenza di Fincantieri significa sviluppo della produzione di acciaio per navi e grandi infrastrutture. Le idee chiare sono fondamentali per la riuscita dei progetti, poi vi è tutta la complessità di farle funzionare. Vedremo, ovviamente dobbiamo sperare nel successo di questa operazione perché, giusto per dare un numero, Ilva vale l’1% del nostro Pil.

L’anno scorso sono stati prodotti circa 3,5 milioni di tonnellate di acciaio a fronte degli 8 previsti. È vero anche che il 2020 è stata un’annata particolare, tra lockdown, crollo della produzione industriale e crisi dell’auto (meno 25% di immatricolazioni in Ue). I problemi vanno tuttavia cercati anche nella difficoltà di far funzionare lo stabilimento tarantino. Attualmente la produzione viaggia al piccolo trotto e la cassa integrazione è estesa a tutto il personale fino a giugno, seppur in misure diverse a seconda dei reparti.

A ogni modo, l’economia va verso la ripresa come ci dice l’Ocse (e anche Fmi): per l’Italia la crescita nel 2021 si stima attorno al +4,1% ed è superiore alla Germania (+3%) e alla media europea (+3,9%). È chiaro che sarà la manifattura a trainare questa crescita e l’acciaio ne è il cuore.

Draghi e Giorgetti paiono procedere con convinzione sul dossier Ilva e questo memorandum – che è naturalmente ispirato dal governo – ne è la prova. È chiaro che queste risorse in gran parte arriveranno dal Recovery Fund la cui finalità è quella di rilanciare le filiere produttive europee nel segno dell’innovazione digitale e sostenibile. Come abbiamo più volte scritto, Taranto è uno dei distretti industriali più importanti d’Europa: Acciaierie d’Italia ha le caratteristiche per essere il simbolo del Green Deal italiano.

Resta però un problema di fondo: lo Stato non può continuare a essere la bad bank di Arcelor Mittal come, del resto di Alitalia piuttosto che di Whirlpool, ecc. Questa massiccia partecipazione del soggetto pubblico, tramite Invitalia, è quantomeno strana oltre che pericolosa. Qual è a questo punto l’interesse di Arcelor Mittal? Quando il privato vede business, non vuole la partecipazione del pubblico, se non in minima parte.

Inoltre, oggi non abbiamo un gruppo di manager pubblici con competenze così sofisticate. L’industria, per via della digitalizzazione dei processi, ha raggiunto livelli di complessità altissimi che già il privato fatica a gestire. Le giuste skills nell’organizzazione di impresa sono decisive, lo vediamo con la vicenda Alitalia: è chiaro che se da 10 anni la compagnia di bandiera presenta questa patologia è perché non abbiamo la capacità di sviluppare il trasporto aereo. E anche in questo caso: o si trovano queste competenze o non c’è alternativa al fallimento.

Twitter: @sabella_thinkin

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