I pasticciacci dell’ex Ilva di Taranto e del Mose di Venezia – città levantina la prima, asburgica la seconda – dimostrano che il Paese è più uguale di quanto si creda. Almeno riguardo alle conseguenze del virus che sta corrodendo le gloriose e tanto esaltate virtù di operosità e intelligenza che per secoli hanno reso fiere le nostre genti. Da una parte si creano le condizioni per scoraggiare un investimento da 4 miliardi di euro concedendo un alibi formidabile per mollare il campo alla multinazionale già pentita dell’impegno assunto, dall’altra si viene sommersi dall’acqua alta nonostante gli altrettanti miliardi spesi per realizzare un’opera che proprio quel disastro doveva evitare.



Quello che non manca è il gioco delle recriminazioni, delle accuse incrociate, della ricerca delle colpe altrui. Con i problemi che restano a marcire perché a questo punto la confusione delle idee, l’accavallarsi delle voci e l’immancabile apertura di un’inchiesta da parte della magistratura paralizzano ogni cosa.



Quello che manca è invece la Politica con la P maiuscola della quale ci siamo dimenticati da tempo. Quella che prevede, sceglie, indirizza, assume responsabilità, porta a compimento i progetti che adotta e si fa misurare sui risultati che ottiene. Al posto dei fatti avanzano le parole: senza senso, esagerate, irresponsabili.

Nel buio della ragione, persa ogni buona volontà, non si colgono più le differenze. E le soluzioni possibili si confondono con quelle impossibili finendo con l’alimentare lo stordimento di un’opinione pubblica che non riesce più a raccapezzarsi. E che va dietro all’ultima suggestione diventando parte del caos.



La situazione va fuori controllo quando il tema è di quelli divisivi per definizione come accade nel caso della tutela dell’ambiente dove la retorica, l’ipocrisia e una buona dose d’ignoranza stanno creando criticità anche dove potrebbero non essercene. Con la messa al bando di ogni soluzione che abbia il sapore della modernità.

Il furore ideologico di certe posizioni, purtroppo sempre più condivise, fa dimenticare che la sostenibilità di qualsiasi scelta deve tener conto anche della compatibilità economica e sociale. Un mondo complesso e interconnesso non può essere governato in modo semplicistico, nemmeno con il sostegno delle buone intenzioni.

Ilva e Mose sono la punta di un iceberg largo e profondo. Ciascuno di noi, in qualsiasi parte d’Italia, conosce storie di realizzazioni mancate, promesse mandate all’aria, incompiute stupefacenti, solo perché condizionate da beghe e gelosie. E da conflitti di poteri che hanno come esito evidente lo sperpero di denaro pubblico e privato.

Il brodo di coltura ideale perché l’improvvisazione, l’incompetenza e la corruzione possano svilupparsi allegramente e provocare danni permanenti. Tra questi, la decisione degli onesti e i capaci di tenersi in disparte, scoraggiati tra l’altro dai metodi d’inchiesta di una magistratura che condanna prima delle sentenze.

Declina, questo nostro Paese, perché non siamo più in grado di pensare e agire per il meglio: almeno nella sfera collettiva. L’arte del compromesso, il sale della politica, è interpretata al ribasso alimentando una spirale di selezioni avverse che quasi sempre arriva a selezionare la persona sbagliata nel posto sbagliato.

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