E se… Alcune volte un dubbio aiuta a trovare la verità e credo che questa volta essere dubbiosi aiuta molto. E se… nella vicenda Ilva-Arcelor Mittal (AM nel seguito) ci fosse una soluzione diversa dalle due che si contrappongono: “rilancio con investimenti” contro “cessazione delle attività perché inquinano e soprattutto sono nocive alla salute”? Non mi stupirei se, dopo molte scaramucce (mai una vera battaglia, a ben guardare!), si arrivasse a una qualche forma di parziale ma definitiva cessazione delle attività attualmente svolte nello stabilimento di Taranto. 



È solo un’opinione con qualche fondamento però. Oggi l’attività fusoria con altoforno vive una fase molto critica. Non solo per ragioni ambientali, ma perché la sua tecnologia messa a punto quasi 200 anni fa nella versione più “moderna” è poco efficiente e molto costosa. L’utilizzo del gas al posto del carbone potrebbe essere una strada nuova a condizione che il prezzo del gas diventasse rapidamente competitivo; ma così non è. Si aggiunga che stiamo attraversando una fase recessiva, ancora da decifrare, che sembra colpire soprattutto quelle che un tempo erano le industrie di base. Non cambiano solo le professioni, ma cambiano anche i prodotti e il modo di fabbricarli e questo significa meno acciaio. Non è un dato di analisi trascurabile.



I produttori europei (e AM è parte fondamentale di questo cluster) devono inoltre affrontare un altro nemico molto aggressivo: le importazioni che aumentano nonostante le barriere doganali che si dimostrano strumento fragile e inadeguato.

Che fare in questo contesto? È una domanda che i piani alti di AM si stanno certamente ponendo e la risposta “ufficiale” che viene diffusa anche nelle ultime drammatiche settimane (incidenti gravi, impianti fermi, aggressioni istituzionali poco responsabili) si focalizza su due affermazioni: ottimizzare la produzione (aumentando le vendite e migliorando i prodotti) e ridurre i costi (tutti i costi, non solo quello del personale che non può essere incolpato di una perdita che da più parti si stima  tra i 30 e i 40 milioni/mese).



Molti pensano che, a questo punto, la recente violenta presa di posizione del capo Europa di AM Geert van Poelvoorde (“Se non viene confermata la immunità ce ne andiamo”) sia fondata. Io penso, al contrario, che AM non se ne andrà da Taranto perché ha messo tanto impegno per disporre di un’importante struttura portuale che si affaccia sulle fondamentali vie del Mediterraneo (con annessi navi e marittimi) e non avrebbe senso abbandonarla. Diverso il ragionamento per gli altoforni:  questi necessitano di costanti e onerosi interventi di manutenzione; hanno un rendimento sempre meno competitivo e la qualità del prodotto finale non è poi tanto diversa da quella ottenuta con altri sistemi (i laminati piani ottenuti da forno elettrico con colata continua competono con quelli ottenuti da ciclo integrale).

La chiusura della cosiddetta area caldo di Taranto (gli altoforni) avrebbe dunque una buona razionalità economica perché rimarrebbe in vita una parte non marginale del ciclo di produzione che interessa AM. Infatti, il sistema tarantino comprende oltre al porto con le relative concessioni di lunghissimo periodo, anche un’ampia area di laminazione di grezzi e semilavorati già oggi in parte provenienti da altri stabilimenti del Gruppo. Non vi sono dunque ragioni plausibili che impongano l’abbandono di Taranto.

Al contrario, la chiusura degli altoforni sarebbe salutata dalla comunità locale con grande plauso perché libera la città dal “giogo” ambientale e contiene entro limiti gestibili la perdita di posti di lavoro:  circa 3-3,5 mila contro gli oltre 10 mila della chiusura totale. Se a ciò si aggiunge che una parte delle aree liberate verrebbe resa alla città per un uso “sociale”, si comprende che ci potremmo trovare davanti a una classica soluzione “win win”. Tutti avrebbero un ritorno positivo e come nelle fiabe sarebbero… felici e contenti.

È un soluzione possibile? Sicuramente sì. Gli avvenimenti delle ultime settimane, certamente dovuti alla casualità, spingono in una direzione simile a quella descritta. Tutti si stracceranno le vesti per smentirla, per sostenere che è solo fantasia malata e che invece AM ha rilevato Ilva per trasformarla nella più moderna e salubre acciaieria del mondo. Può darsi che ci siano stati momenti nei quali le decisioni erano queste, ma ora chi frequenta i manager AM italiani e non raccoglie altri pensieri.

E se… fosse questa la decisone non sarebbe poi male. O no?

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