Dopo l’incontro di venerdì scorso tra Governo e vertici di Arcelor Mittal, è arrivata anche una “tregua giudiziaria” tra l’azienda e i commissari, con il rinvio al 20 dicembre dell’udienza relativa al ricorso presentato contro l’atto di recesso del colosso franco-indiano dell’acciaio dal contratto di affitto dell’ex Ilva. Fino a quella data l’amministratore delegato di Arcelor Mittal Italia, Lucia Morselli, ha garantito la continuità produttiva e il normale funzionamento dell’impianto di Taranto. Resta tuttavia il rischio del blocco dell’altoforno 2 dopo il 13 dicembre, come ci conferma Rocco Palombella, Segretario generale della Uilm: «Purtroppo l’altoforno 2 ha un ordine di spegnimento emesso dalla Procura di Taranto. Un non accoglimento della proroga di un anno richiesta dai commissari a fronte di interventi ben identificati, in particolare riguardo l’automazione della colata, aprirebbe altri e complicati scenari. Si darebbe ragione ad Arcelor Mittal e si darebbe un colpo mortale alla continuità produttiva dello stabilimento di Taranto».



Cosa pensa del risultato dell’incontro tra Governo e Arcelor Mittal di venerdì scorso?

Dopo l’incontro di palazzo Chigi si deve avviare una trattativa ad armi pari, senza pregiudiziali. Si deve partire dall’accordo del 6 settembre 2018 che ha avuto il consenso del 93% dei lavoratori e che è l’unico che garantisce risanamento ambientale, tutela livelli occupazionali e continuità industriale. Noi rimaniamo contrari a qualsiasi atto che preveda esuberi, il blocco del risanamento ambientale, la riduzione dei salari dei lavoratori e ipotetici piani di riconversione diluiti nel tempo che non avrebbero modo di essere messi in pratica. Quindi l’unica cosa che abbiamo potuto cogliere dall’incontro tra Conte e i vertici di Arcelor Mittal è stata una tregua moderata. Dalla conferenza stampa del Presidente del Consiglio non abbiamo colto nessuna riconsiderazione su quanto annunciato da Arcelor Mittal nei giorni scorsi. Il Premier non deve prendere impegni per la nostra parte e deve urgentemente convocare i sindacati per aggiornarli sulla trattativa che sta portando avanti.



Negli ultimi giorni sono emersi particolari che fanno pensare che sia stata l’azienda a sollecitare il coinvolgimento pubblico annunciato da Conte. Come valuta questa iniziativa di Arcelor Mittal?

È paradossale pensare che una multinazionale che ha sottoscritto un contratto e un accordo sindacale, che ha deciso di metterne in discussione i termini, fino a violarlo in maniera grave, avendo dalla propria parte solo l’alibi dell’immunità penale offertagli su un piatto d’argento dal Governo, decida di dettare le condizioni. Ha fatto tutto questo nonostante le palesi violazioni, tanto da aver fatto muovere in maniera energica le Procure di Milano e Taranto.



E dell’ipotesi che lo Stato possa diventare socio di Arcelor Mittal cosa ne pensa?

Penso che lo Stato si debba dotare di poteri di controllo ed essere in grado di poter condizionare aziende gestite da multinazionali, in particolare in caso di imprese di interesse strategico. Quando si parla di una nuova Iri mi si accappona la pelle. L’Iri ha gestito per oltre 30 anni, con il ministero delle Partecipazione statali, l’Italsider, fallendo spudoratamente qualsiasi obiettivo. Ci ha consegnato ogni anno migliaia di esuberi e miliardi di debiti da ripianare. Bisogna evitare di tornare a compiere gli errori fatti in passato. Purtroppo la situazione industriale è talmente grave che non esiste una strategia su come gestire le centinaia di crisi. L’Ilva è stata lasciata per troppo tempo in condizioni di ingovernabilità. Dal 26 luglio 2012 a oggi sono passati oltre sette anni. Nessuna azienda di queste dimensioni può superare la crisi per tutto questo tempo. Il Premier quando ha capito che era di fronte a una situazione irreversibile, si è reso conto della gravità della questione ed è intervenuto.

Sembra che Arcelor Mittal voglia produrre puntando più sui forni elettrici e meno sugli altiforni. Come valuta questa possibilità in relazione ad aspetti ambientali e occupazionali?

Arcelor Mittal ha sottoscritto un accordo puntando sulla produzione con altiforni e si è impegnata a utilizzare, nella fase finale del Piano, fonti energetiche tecnologicamente più avanzate. Arcelor Mittal non farà mai forni elettrici a Taranto, sia per gli ingenti costi, pari al triplo di un altoforno, sia per una complicata e dispendiosa gestione per via del costo dell’energia. Bisogna evitare inutili promesse, bisogna bandire la storia dei due tempi, perché se veramente si vuole installare un forno elettrico si deve partire da subito con gli investimenti. Altrimenti è solo un’inutile promessa irrealizzabile. Il forno elettrico non si farà a Taranto e, mi duole dirlo, non si è realizzato in nessuna parte d’Italia.

Gli esuberi di cui si è parlato potrebbero essere di molto controllati in ragione di diversi fattori, dalla partecipazione pubblica all’ipotesi del “cantiere Taranto”. Quel che sembra inevitabile è che per Taranto si intravede un futuro da 4,5 milioni di tonnellate di acciaio, una quantità notevolmente inferiore alle aspettative e alla reale capacità dell’impianto siderurgico più importante d’Europa. Cosa ne pensa?

Non c’è mai stato un sito siderurgico che ha chiuso l’area a caldo con altiforni e ha installato forni elettrici. Purtroppo in Europa si stanno spartendo le produzioni di acciaio di prima fusione, come sempre a cura dei tedeschi e dei francesi. Proprio in queste ore Arcelor Mittal sta aumentando la produzione a Fos-sur-Mer e a Dunkerque ciascuno da 4 a 6 milioni, togliendo produzioni al sito di Taranto che diventerà uno stabilimento di servizi che, solamente in condizioni favorevoli di mercato, potrà tornare a una produzione maggiore ai 4 milioni di tonnellate. Questo porterà a un inesorabile ridimensionamento e successiva chiusura Una produzione di 4 milioni di tonnellate non è sostenibile economicamente, dal punto di vista dei costi di produzione, nemmeno con 5 mila esuberi. Negli anni di crisi dell’Italsider, durante la gestione dell’Iri, per trovare soluzioni occupazionali sono state messe in campo diverse iniziative imprenditoriali al fine di ricollocare gli esuberi. Ne sono esempi i casi di Italiaimpiantisud, Mgs, Fonderie Sural e tanti altri.

E come sono andate queste iniziative?

Queste aziende assunsero personale ex Italsider, ma finito il vincolo della restituzione dei finanziamenti avuti, gli stabilimenti chiusero con migliaia di licenziamenti. Gli insediamenti industriali devono rispondere a necessità di mercato e non possono nascere senza un disegno e obiettivi reali e concreti.

Secondo recenti notizie, l’azienda avrebbe allontanato Sergio Palmisano per via delle dichiarazioni da lui fatte ai pm di Milano. Palmisano avrebbe detto che “i conti della fabbrica non andavano bene perché non si riusciva a smaltire la ghisa prodotta”. Cosa significa questo, c’è un malfunzionamento della catena produttiva all’origine della crisi dell’azienda?

Conosco personalmente l’ingegnere Palmisano, conosco la sua indiscutibile professionalità di alto livello e soprattutto lo reputo una persona umana e gran conoscitore in materia ambientale e di sicurezza. Mi auguro che questa notizia non sia vera. Arcelor Mittal, nella malaugurata ipotesi fosse confermata, si priverebbe di un professionista che darebbe un grande contributo a risolvere la difficile situazione dell’ex Ilva. Tanti anni fa esisteva una problematica che si chiamava “collo di bottiglia”.

Di che cosa si tratta?

Gli altiforni erano in grado di produrre una quantità di ghisa che le due acciaierie non riuscivano a trasformare in acciaio. Questo problema si risolse rendendo più efficienti le due acciaierie con la marcia di due convertitori per ognuna. In questi anni non sono stati fatti tutti quegli interventi manutentivi necessari e le acciaierie sono tornate ad avere difficoltà nel convertire la ghisa prodotta in acciaio. Quindi sono verosimili le dichiarazioni che ha fatto Palmisano agli inquirenti, in quanto le problematiche sono legate alla mancanza di manutenzione.

(Lorenzo Torrisi)

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