In questi giorni si sta parlando del rischio di un autunno caldo in Italia, dato che Cig e blocco dei licenziamenti andranno in scadenza e saranno sempre più evidenti le conseguenze economiche della pandemia del coronavirus e delle misure adottate per contenerne la diffusione e riavviare poi l’apparato produttivo del Paese. Tuttavia la situazione rischia di diventare incandescente già quest’estate per i lavoratori dell’ex Ilva, più di 8.000 nel solo polo produttivo di Taranto, come ci spiega Rocco Palombella, Segretario generale della Uilm. Dopo la presentazione del piano industriale da parte di ArcelorMittal, respinto al mittente dal Governo, sembra che si sia tornati a prima dell’accordo di marzo, ma in realtà «la situazione è ulteriormente peggiorata. ArcelorMittal ha fermato arbitrariamente l’altoforno 2, contravvenendo ai vincoli contrattuali, portando la produzione di ghisa liquida da 16.000 tonnellate al giorno a 7.500, minimo storico mai raggiunto nel sito di Taranto. Queste riduzioni produttive non hanno nulla a che fare con le contrazioni provocate dal coronavirus, poiché secondo le stime della World Steel Association, nel 2020 ci sarà una contrazione del 6% del mercato dell’acciaio, non di oltre il 60%».
Il Governo ha respinto al mittente il piano industriale presentato da ArcelorMittal. Voi come lo giudicate?
Il Governo ha fatto bene a respingere il piano industriale presentato da ArcelorMittal perché secondo i tre ministri presenti all’incontro dello scorso 8 giugno non rispetta l’accordo fatto il 4 marzo scorso. Noi, pur non conoscendo l’intesa tra Governo e ArcelorMittal del 4 marzo, riteniamo che il piano presentato sia irrealizzabile poiché allunga di due anni gli impegni da assumere. Non sono sostenibili né il piano degli investimenti, sia ambientali che impiantistici, né la risalita produttiva perché fa affidamento su impianti fermi, come l’altoforno 2.
Secondo lei, ArcelorMittal eserciterà la clausola rescissoria a fine novembre pagando quindi un indennizzo e restituendo la gestione dell’ex Ilva ai commissari?
ArcelorMittal sta mettendo in atto ogni azione per farsi mandare via. Ha sospeso le manutenzioni ordinarie e straordinarie, oltre ai lavori di ambientalizzazione. Inoltre, da mesi non paga le aziende dell’indotto che hanno già svolto lavori e ha bloccato la produzione in tutti gli impianti legati alla commercializzazione e quindi al mercato.
Vi è chiaro che cos’ha in mente il Governo per l’ex Ilva, con o senza ArcelorMittal?
Il Governo si è riservato, prima di prendere una decisione, di convocare per la prossima settimana, per l’ennesima volta, i dirigenti di ArcelorMittal. L’esecutivo ha nuovamente dichiarato che l’ex Ilva non può chiudere e che il settore siderurgico è strategico per il nostro Paese. Cosa voglia fare nel concreto ancora non siamo riusciti a comprenderlo.
C’è un’alternativa percorribile nel caso ArcelorMittal lasci l’ex Ilva considerando anche il contesto economico internazionale?
Se ArcelorMittal continuerà a rimanere negli stabilimenti dell’ex Ilva lascerà solo macerie. Questa situazione non potrà durare fino a fine anno, quindi il Governo deve immediatamente individuare l’alternativa che può essere esclusivamente quella di allontanare la multinazionale franco-indiana e chiedere un aiuto ai produttori siderurgici italiani per rilanciare gli investimenti ambientali e tecnologici. Ovviamente con un’iniziale responsabilità diretta del Governo.
L’esecutivo ha qualche responsabilità per la situazione in cui ci troviamo oggi?
Il Governo ha una grande responsabilità, ovvero quella di non aver sostenuto, dopo averlo firmato, l’accordo del 6 settembre 2018. All’interno del partito di maggioranza ci sono parlamentari che da sempre sostengono la chiusura dell’ex Ilva e ci sono alcuni ministri che hanno messo in atto azioni per offrire alibi al gruppo franco-indiano, compreso lo scudo penale.
Fino a quando si può dire che ci siano garanzie per i lavoratori dell’ex Ilva e dell’indotto? C’è il rischio di un autunno caldo?
In questi giorni ArcelorMittal sta accelerando le azioni ritorsive nei confronti dei lavoratori. Dal primo luglio partirà la cassa integrazione ordinaria per 8.200 lavoratori, mentre il reddito dei lavoratori è diminuito di un terzo, i lavoratori dell’indotto non ricevono lo stipendio da gennaio e alcune aziende si stanno ritirando dopo mesi di mancati pagamenti. L’autunno è troppo lontano, i lavoratori dell’ex Ilva sono esasperati, basti guardare la situazione che si è determinata nei giorni scorsi. Immaginiamo che ci sarà un’estate caldissima se il Governo non troverà soluzioni per evitare un disastro ambientale, occupazionale e produttivo.
(Lorenzo Torrisi)