Sembra ancora lontana una soluzione per l’ex Ilva di Taranto. I legali dei commissari non hanno ancora presentato l’annunciato ricorso contro il recesso dal contratto di affitto presentato da ArcelorMittal. Non è chiaro intanto se la maggioranza voterà o meno o reintroduzione del cosiddetto “scudo penale”, la cui cancellazione è stata indicata dal colosso franco-indiano dell’acciaio come una delle cause della decisione presa: Luigi Di Maio, intervenendo a Radio 24, ha infatti detto che “se siamo in una trattativa, introdurre uno strumento che, secondo la stessa multinazionale, non impedirebbe di avere cinquemila persone in mezzo alla strada, non ha senso”. Abbiamo chiesto un commento a Rocco Palombella, Segretario generale della Uilm, secondo cui “la più grande acciaieria europea è come un morto terminale, in agonia e da un momento all’altro si spegnerà”, “non è possibile che si continui a parlare solamente del contenzioso giudiziario mentre gli stabilimenti si stanno fermando”.
Dal suo punto di vista è possibile pensare di risolvere la situazione dell’ex Ilva con la reintroduzione (la seconda in meno di un anno) dello scudo penale e “obbligando” ArcelorMittal a rispettare gli impegni sul fronte occupazionale?
Purtroppo la situazione dell’ex Ilva ha raggiunto un livello di drammaticità elevata. Lo scudo penale è diventato lo strumento che ha consentito ad ArcelorMittal di avviare la procedura di recesso dal contratto di affitto e di conseguenza dell’acquisto degli stabilimenti italiani del gruppo ex Ilva. In questa fase qualsiasi reintroduzione dello scudo penale risulterebbe tardiva e molto probabilmente inefficace. Ci darebbe però la possibilità di verificare fino in fondo quanto abbia inciso la soppressione delle tutele legali e, forse, ci farebbe risparmiare in fase di giudizio qualche miliardo di risarcimento.
Non si può negare l’esistenza di una crisi del comparto siderurgico che mette in dubbio la tenuta dei livelli occupazionali. Che tipo di valutazioni farebbe il sindacato qualora ArcelorMittal volesse ridiscutere l’accordo sindacale?
In questi lunghi anni siamo stati impegnati più volte nell’affrontare crisi cicliche del mercato dell’acciaio. A momenti di grandi richieste di quantità di acciaio ne seguivano altri di contrazione del mercato siderurgico, in quanto risentiva fortemente delle crisi cicliche e di sviluppo che erano presenti in molti Paesi europei e mondiali. Queste complessità sono state sempre affrontate senza adottare strumenti strutturali. Dopo la riorganizzazione avvenuta negli anni ’80, gli stabilimenti siderurgici sono rimasti sempre gli stessi, senza subire ulteriori chiusure o ridimensionamenti. ArcelorMittal in questo momento sfugge dai suoi impegni e non siamo riusciti ancora a comprendere le reali ragioni che hanno portato questa multinazionale, dopo appena un anno dall’inizio della sua gestione, a chiedere, in cambio della rinuncia al recesso, un piano industriale che prevede una riduzione della metà del numero dei lavoratori.
ArcelorMittal accusa il Governo di non stare ai patti, ma quanto fatto dall’azienda in questo anno è in linea con gli accordi in particolare relativi al Piano ambientale (e addendum)? Quanto sicuro è oggi il sito di Taranto?
L’azienda in questi mesi ha cercato di rispettare il cronoprogramma relativo al Piano ambientale e agli addendum integrativi al piano stesso. Basta verificare che la copertura dei parchi primari è stata effettuata in anticipo rispetto ai tempi previsti dall’Aia. Lo stabilimento di Taranto è stato sequestrato nel luglio 2012 e da allora sono stati previsti interventi impiantistici e tecnologici fino al 2023. Da pochi mesi sono iniziati i lavori di adeguamento degli impianti ed è chiaro che per ritenere quello stabilimento sicuro bisognava attendere la fine dell’applicazione del Piano ambientale e industriale che prevedono investimenti per oltre 4 miliardi.
È stato sbagliato scegliere ArcelorMittal? Sarebbe stato meglio affidare l’ex Ilva ad Acciaitalia?
Il sindacato non è stato mai informato sull’andamento della trattativa tra i Commissari e gli acquirenti. Da quando il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, ha deciso di affidare l’ex Ilva ad ArcelorMittal, noi siamo stati al corrente. Non siamo stati mai messi nelle condizioni di conoscere le disposizioni previste dal contratto di affitto e vendita degli stabilimenti. Le proposte dei due acquirenti, a detta del Ministro Calenda, erano differenti tra loro, sia da un punto di vista del prezzo di acquisto che riguardo al mantenimento dei diritti economici e dei livelli occupazionali previsti. Quella di ArcelorMittal risultava essere migliore in tutti questi aspetti.
L’ingresso dello Stato nel capitale, magari tramite Cdp, potrebbe agevolare una soluzione positiva per l’ex Ilva?
Non sono in grado di giudicare se l’ingresso di Cdp in società con ArcelorMittal sia fattibile legalmente. So solo che Cdp era presente all’interno della cordata concorrente di ArcelorMittal, AcciaItalia. La proposta di ArcelorMittal è stata giudicata positivamente sia dai Commissari che dall’Antitrust europeo. Io penso che se un bando europeo si è concluso con l’affidamento degli stabilimenti a un soggetto industriale, prima di poter avviare modifiche degli assetti societari ci sarà bisogno di un nuovo bando.
Dopo l’incontro tra Governo e azienda, è parso che il sindacato non agisse in maniera unitaria…
Non mi sembra che ci siano divisioni all’interno di Cgil, Cisl e Uil e nemmeno tra Fim, Fiom e Uilm. Dopo la dichiarazione solitaria della Fim del 6 novembre, dove hanno aderito pochi lavoratori, abbiamo indetto uno sciopero unitario per venerdì 8 novembre, pur in una situazione di grande situazione complessa, e abbiamo ottenuto una modesta adesione.
Ciò che sembra emerso drammaticamente in questo anno è che la politica si sta dimostrando inadeguata e non all’altezza della sfida dello sviluppo economico e della complessità dell’industria. Non è forse il caso, per il sindacato, di fare una scelta di campo e di stare a fianco dell’azienda onde evitare il tutti contro tutti?
In questi anni le vicende industriali sono state abbandonate al loro destino. La politica si è interessata di problematiche molto distanti dai cittadini e soprattutto non si è preservato il nostro tessuto industriale. Purtroppo in questi anni centinaia di aziende hanno delocalizzato, molte hanno chiuso la propria attività e sono oltre 150 i tavoli al Mise. Da tanti anni il sindacato difende il tessuto industriale e la salvaguardia di molti settori, cercando di rimanere sempre al fianco dei lavoratori e lottando per difendere le nostre aziende. Le vicende Whirlpool, Electrolux, ex Alcoa, Bekaert, ex Embraco, il settore auto, Sider Alloys, Blutec, Irisbus e infine l’ex Ilva rappresentano il nostro grande impegno nel tutelare i livelli occupazionali e la presenza di realtà industriali.
(Lorenzo Torrisi)