Torna a essere incerto il futuro dell’ex Ilva di Taranto. Con un accordo tra le forze di maggioranza, lo “scudo penale”, originariamente garantito ad ArcelorMittal, che lo ritene fondamentale per proseguire l’attività, è stato cancellato con un emendamento dal decreto salva imprese, ora all’esame del Senato, dopo che era stato abolito dal Governo Conte-1 e reinserito poi in uno degli ultimi provvedimenti dell’esecutivo giallo-verde, anche se con vincoli precisi al rispetto del Piano ambientale. I Segretari generali di Fim, Fiom e Uilm, come ci spiega lo stesso Rocco Palombella, hanno scritto ieri al ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, chiedendo un incontro urgente sul futuro dell’acciaieria più grande d’Europa.



Lo “scudo penale” per l’ex Ilva di Taranto è stato soppresso. Le commissioni Industria e Lavoro del Senato hanno però approvato un ordine del giorno con cui si impegna il Governo a garantire la permanenza dell’attività produttiva, la salvaguardia dei posti di lavoro e una progressiva decarbonizzazione dell’impianto. Cosa ne pensa?



Sulla questione delle tutele legali stiamo assistendo a un atteggiamento schizofrenico da parte del Movimento 5 Stelle. A maggio, nel Decreto Crescita, aveva abolito la norma sullo scudo penale, poi a settembre nel Dl Imprese ha inserito una norma che lo lega al Piano ambientale e ora nell’iter di riconversione lo toglie nuovamente. Si continua a giocare sulla pelle dei lavoratori e dei cittadini tarantini su un tema così delicato che viene strumentalizzato per consenso elettorale. L’ordine del giorno presentato dai senatori Pd della Commissione Industria è un documento inutile, che non serve a nulla, fatto solo per salvare la faccia. Questo odg rappresenta l’incoerenza del Pd su questo argomento, dopo che dal 2012 a oggi ha approvato oltre 13 decreti Salva Ilva e ha dato la possibilità ai gestori e agli affittuari di non incorrere in vicende penali nell’adempimento dei loro interventi ambientali e industriali in uno stabilimento posto sotto sequestro con facoltà d’uso.



Decarbonizzazione è stata per lungo tempo, anche nei mesi scorsi, la parola d’ordine di Michele Emiliano, Francesco Boccia e del Pd pugliese…

La decarbonizzazione per lo stabilimento di Taranto non è praticabile sia per le caratteristiche del processo produttivo che è a ciclo integrale, sia per l’imponente quantità di acciaio da produrre. Inoltre, non è percorribile perché il Governo, l’Unione europea, la Commissione Antitrust hanno stipulato un contratto di fitto della durata di tre anni con la possibilità di opzione da parte di ArcelorMittal dove i pilastri del contratto sono il Piano ambientale approvato con una legge dello Stato italiano nel settembre 2017 e quello industriale realizzato sulla base del Piano ambientale stesso. Per poter avviare un processo di produzione diverso da quello attuale bisogna annullare l’attuale contratto, farne un altro e seguire tutto l’iter previsto dalle leggi nazionali ed europee. Nel frattempo l’Ilva sarà morta e sepolta.

Secondo Il Corriere di Taranto, si starebbe ipotizzando la chiusura dell’area a caldo dell’ex Ilva. Quali conseguenze avrebbe una scelta di questo tipo?

Senza l’area a caldo, lo stabilimento di Taranto non è più sostenibile economicamente. Il settore dove arrivano e vengono lavorate le materie prime è fondamentale per tutto il processo industriale e una sua chiusura significherebbe un aumento dei costi per importare prodotti semi finiti che un’azienda in grave difficoltà economica come ArcelorMittal non sarebbe in grado di portare avanti. Inoltre, nell’area a caldo lavora la metà dei lavoratori dell’ex Ilva, circa 5mila persone. Come vogliono tutelare l’occupazione di questi lavoratori? Rispetto all’inquinamento atmosferico, tutti gli enti preposti al monitoraggio e controllo certificano quotidianamente la qualità dell’aria e tutti attestano che siamo nei limiti previsti dalla legge. Una situazione che sarà migliorata dalla copertura dei parchi minerali e altri interventi previsti dal Piano ambientale fino al 2023. In questo momento sarebbe un delitto chiudere l’area primaria dopo aver provveduto a spendere 400 milioni di euro per la copertura dei parchi provenienti dal sequestro nei confronti dei Riva e senza poterlo utilizzare.

Il settore non attraversa una congiuntura favorevole e si parla di perdite ingenti per ArcelorMittal, che in Italia ha ora un nuovo ad, Lucia Morselli. Quanto siete preoccupati per il futuro dell’impianto? Ritenete che le scelte della politica possano “spingere” ArcelorMittal a un disimpegno rispetto ai piani di rilancio dell’acciaieria?

Siamo preoccupati perché la politica (5stelle, Pd, Leu e Renzi) sta adottando provvedimenti per mandare via ArcelorMittal e chiudere lo stabilimento di Taranto. Sono degli incoscienti senza scrupoli, poiché non hanno ancora spiegato come intendono far fronte al risanamento ambientale, alle bonifiche e alla salvaguardia dei livelli occupazionali in caso di abbandono di Taranto da parte di ArcelorMittal. Perché non parlano di nazionalizzazione? Sarebbe bello ascoltare le posizioni su questo argomento dei parlamentari del Movimento 5 Stelle, del Presidente della Regione Puglia Emiliano e del sindaco di Taranto Melucci. La crisi dell’acciaio è una delle peggiori degli ultimi anni, con una forte concorrenza da parte di Cina, India e Turchia anche grazie alla diversa legislazione sulle emissioni atmosferiche e ai bassi costi di manodopera. Qui abbiamo un’azienda che perde due milioni al giorno, che entro fine anno riuscirà a produrre 4,5 milioni di tonnellate invece delle 6 previste dal Piano industriale e che ha prolungato la cigs per circa 1.300 lavoratori fino a dicembre 2019.

La situazione è quindi già difficile…

Una situazione drammatica per il futuro occupazionale e industriale, peggiorata ulteriormente dalle scelte della politica che non riesce a garantire una continuità delle norme, cambiando di mese in mese le proprie posizioni e incentivando di fatto la resa di un’azienda già in grave crisi economica e produttiva. Ricordo che il 6 settembre 2018 è stato firmato un accordo al Mise, con ministro Di Maio, per il rilancio dell’attività industriale e produttiva della più grande acciaieria d’Europa e successivamente un Piano ambientale che prevede interventi di ambientalizzazione fino al 2023 per un investimento di circa 2 miliardi di euro. Se va via ArcelorMittal, chi si farà carico di tutti gli interventi per tutelare la salute dentro e fuori la fabbrica?

L’ex Ilva di Taranto è la più grande acciaieria d’Europa: quali conseguenze ci sarebbero per l’industria italiana se venisse chiusa o “ridimensionata”?

Secondo i dati pubblicati da Federacciai, nel 2018 in Italia si sono prodotte 24,5 milioni di tonnellate: siamo il secondo produttore europeo e decimo tra quelli mondiali. Nel settore ci sono 34mila addetti nella siderurgia primaria e 70mila totali come diretti complessivi dell’industria dell’acciaio che rappresenta il 2% dell’occupazione manifatturiera italiana con un fatturato di oltre 40 miliardi di euro. Da gennaio ad agosto 2019 l’Italia ha avuto un calo del 4,5% della produzione di acciaio rispetto allo stesso periodo del 2018, attestandosi a 15,4 milioni di tonnellate e uscendo dalla classifica dei primi dieci produttori mondiali. Un calo generalizzato, di oltre 700mila tonnellate, dovuto anche alla crisi del settore dell’auto. L’andamento negativo italiano ha visto un forte rallentamento soprattutto nei mesi estivi, passando dal -2,6% registrato a giugno, al -8% di luglio e al -26,6% di agosto.

Un problema anche in prospettiva per l’occupazione…

Sì, ci sono migliaia di lavoratori che rischiano il proprio posto di lavoro perché manca da troppi anni un piano di politica industriale, una seria programmazione di interventi incentrati su importanti investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione, che rappresentano l’unica via per competere realmente in un mercato globale agguerrito. Un Paese che rinuncia a uno dei suoi settori industriali più importanti è un Paese destinato a morire lentamente. Rispetto a Taranto, l’eventuale chiusura dello stabilimento causerebbe una bomba sociale ed economica che chi ci governa nemmeno immagina.

Tanto più che siamo al Sud.

Si vuole chiudere di fatto uno stabilimento nel Sud Italia, già povero sia economicamente che di alternative occupazionali, a causa dei mancati o errati investimenti fatti negli anni passati. Sarebbe l’ennesima azione di desertificazione industriale già in atto da anni che vede anche lo spopolamento di intere aree del Meridione. Le grandi crisi industriali, come Blutec o Whirlpool, devono ricevere maggiore attenzione da parte di chi ci governa, perché si trovano in contesti sociali ed economici già in grave difficoltà.

Come giudica le prime mosse del nuovo esecutivo sul fronte industriale e cosa auspica su questo tema?

C’è un atteggiamento peggiore di quello del Governo precedente. Il Pd prima si muoveva come partito di opposizione ed era da stimolo mentre ora, stando nella maggioranza e con la paura di nuove elezioni, sottosta e approva questo tipo di provvedimenti del Movimento 5 Stelle. Tornando alla questione dell’ex Ilva ci aspettiamo dal Governo una soluzione che possa garantire la continuità industriale e l’occupazione, una misura che sia duratura nel tempo, non modificata secondo gli umori del giorno o la ricerca strumentale del consenso elettorale. Oggi (ieri, ndr) insieme ai Segretari Generali di Fim e Fiom abbiamo inviato una lettera al Ministro Patuanelli per richiedere urgentemente un incontro sulle prospettive industriali e occupazionali di ArcelorMittal e dell’indotto, dopo il cambio dei vertici aziendali e la soppressione della norma sulle tutele legali. Vogliamo sapere cosa vuole fare il Governo della più grande acciaieria europea, vogliamo parole chiare e assunzioni di responsabilità per non generare ulteriori incertezze sul futuro di migliaia di lavoratori del sito di Taranto.

(Lorenzo Torrisi)

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