La vicenda Ilva e, in particolare, dello scudo penale ha ormai raggiunto livelli di surrealismo, tanto che potremmo definirla una barzelletta. Solo nelle ultime 48 ore, 3 ministri – Gualtieri prima e poi Di Maio e Boccia – hanno tergiversato sulla questione sebbene provocati a dovere, subordinando la decisione della reintroduzione dell’immunità penale al fatto che “gli indiani non possono venire nel nostro Paese a dettare legge”. Le parole sono di Di Maio, del resto in linea con quelle di Boccia, per quanto meno bizzarre.



Come già scritto su queste pagine, nell’accordo siglato lo scorso anno non vi è espressamente il richiamo allo scudo, ma vi è scritto che in caso di mutamenti della normativa ambientale che rendano impossibile l’esecuzione del contratto, dallo stesso si possa recedere. Quindi, facendo leva sul clamoroso autogol del governo, Mittal ha esercitato il suo diritto di recesso; non per scappare, ma – lo sosteniamo dall’inizio di questa vicenda grottesca – per arrivare a trattare i livelli occupazionali e, più in generale, le condizioni su cui poggia il suo investimento in Italia. Quella dell’azienda, in poche parole, è una prova di forza nei confronti di una controparte non affidabile e impreparata che, revocandole lo scudo penale, le ha ceduto potere contrattuale.



È chiaro che, ora come ora, se il Governo con Mittal ha intenzione di andare avanti – e così è – deve (proprio così, deve…) reintrodurre lo scudo penale. Perché se questa cosa non avvenisse, Arcelor Mittal il 4 di dicembre lascerà l’Italia. E circa il programma di spegnimento degli altiforni, l’azienda ha scritto a Governo e Istituzioni locali che “ogni decisione spetterà unicamente alle Società Concedenti”. A quel punto, saranno i commissari a chiedere lo scudo perché dal 13 dicembre (data ultima per metterlo a norma) o l’altoforno 2 sarà spento – col rischio di comprometterne l’utilizzo – o si troverà per legge il modo di continuare a lasciarlo acceso. E, a quel punto, chi si prenderà la responsabilità di lasciarlo acceso? Risposta: nessuno.



Possiamo quindi dire che se lo scudo penale non sarà ripristinato nel giro di 15 giorni, assisteremo ad avvenimenti gravi e al momento nemmeno prevedibili (Mittal se ne va? Commissari e dirigenti si dimettono? Altoforno spento? Metalmeccanici che bloccano lo spegnimento?).

In attesa di capire come procede il progetto di Cassa depositi e prestiti – i cui manager martedì erano a Taranto per un sopralluogo tecnico – e la possibilità della creazione attraverso società a partecipazione pubblica come Fincantieri e Finmeccanica di un polo di nuove iniziative produttive legate al consumo di acciaio e localizzate nell’area tarantina, possiamo dire che il negoziato tra il Premier Conte e il sig. Lakshmi Mittal sta procedendo.

Arcelor Mittal vuole licenziare 5 mila lavoratori? Dopo la stupidaggine dello scudo, qualcosa all’azienda bisognerà cedere. E, come abbiamo già scritto, per colpa dell’irragionevole protagonismo della politica, ancora una volta saranno i lavoratori a pagare pegno. Tuttavia, il nascente polo del consumo potrebbe assorbire i metalmeccanici in uscita da Mittal; sconti sull’affitto e un po’ di ammortizzatori sociali potrebbero fare il resto.

I dettagli di questa nuova intesa li scopriremo, ma non c’è dubbio che conditio sine qua non di questa trattativa è la reintroduzione dello scudo penale. Al di là di quello che dicono Gualtieri, Di Maio e Boccia. 

Tutto potrebbe passare attraverso una dura crisi di governo, ma quegli anticorpi che stanno resistendo a questa legislatura anomala non permetteranno questo colpo mortale per l’industria italiana. E Ilva non morirà.

Twitter: @sabella_thinkin

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