Nella giornata di ieri, si è appreso che il Consiglio di Stato, all’esito dell’udienza del 13 maggio 2021, ha disposto l’annullamento della sentenza del Tar di Lecce n. 249/2021. Vengono dunque a decadere le ipotesi di spegnimento dell’area a caldo dell’ex Ilva di Taranto e di fermata degli impianti connessi, la cui attività produttiva proseguirà quindi con regolarità.



Si tratta di un esito piuttosto scontato per almeno tre ragioni:

1) l’interesse pubblico nel caso di specie è altissimo: potenzialmente l’ex Ilva vale l’1% del Pil italiano ed è azienda in grado di occupare circa 15.000 lavoratori; inoltre, un Paese a trazione manifatturiera come l’Italia non può non essere autonomo nella produzione di materia prima, l’acciaio appunto;



2) Invitalia, azienda di Stato italiana, è entrata nel capitale di Arcelor Mittal Italia (al 50% con quota destinata a salire) dando vita ad Acciaierie d’Italia: non ha alcun senso che la magistratura fermi oggi un palese tentativo di innovazione e di rilancio del sito tarantino;

3) Next Generation Eu e programma Green Deal hanno l’ambizione di rilanciare l’industria europea modernizzandola anche in un’ottica di sostenibilità ambientale; da questo punto di vista, il sito di Taranto è tra i poli più importanti d’Europa e possibile fiore all’occhiello di questa operazione di restyling delle filiere produttive: per l’ex Ilva è arrivata l’ora X.



In sintesi, in questa fase di ridefinizione dei rapporti tra Unione europea e Stati membri e di evidente cessione di sovranità a Bruxelles, la grande iniezione di risorse che va a finanziare i Piani nazionali di ripresa e resilienza è calibrata anche sulla capacità industriale di ogni singolo Paese. L’Italia resta saldamente il secondo Paese manifatturiero d’Europa e presenta un quadro per cui i più importanti istituti del mondo – Ocse, Fmi e agenzie di rating ma anche Bankitalia – prevedono una crescita per il 2021/2022 superiore alle medie europee. Queste stime sono certamente figlie di un sistema che ha una vitalità importante: l’Italia è Paese storicamente lento ad allinearsi ai processi di innovazione – lo abbiamo visto in questi anni -, ma che quando riesce a fare sistema è in grado di liberare le sue migliori risorse e un notevole dinamismo, soprattutto in ragione di un sistema produttivo che non è dominato dalla multinazionale ma dalla piccola e media impresa, certamente più veloce nell’implementare i processi di cambiamento.

Come abbiamo più volte scritto, la soluzione per l’ex Ilva è quella di proiettare lo stabilimento verso la transizione ecologica ed energetica: da questo punto di vista, il Governo ancora non ha scoperto le carte; ma l’accordo di aprile tra Fincantieri, ArcelorMittal e Paul Wurth per la realizzazione di un progetto finalizzato alla riconversione del ciclo integrale dell’acciaieria di Taranto – secondo tecnologie ecologicamente compatibili – va inquadrato in quest’ottica.

Resta da capire cosa ne sarà di Acciaierie d’Italia: dal 2022, Invitalia salirà al 60% delle quote. Ciò significa che il ruolo di ArcelorMittal sarà ulteriormente ridimensionato. Ma, appunto, un privato che acconsente a questo ridimensionamento è un privato non più interessato a investire. E che forse lascerà spazio a un altro player. A maggior ragione, in questa fase la cosa importante è che non sia il Governo a commettere errori. Potrebbero costarci molto cari.

Twitter: @sabella_thinkin