Com’è noto, il Governo ha deciso e trovato un’intesa per un nuovo assetto societario di Autostrade per l’Italia – di cui Atlantia era il socio di maggioranza – che prevede una massiccia presenza dello Stato nella gestione della parte più importante della nostra rete autostradale. Dopo due anni dal crollo del ponte Morandi, la vicenda trova così un epilogo non nella revoca, ma in un cambiamento societario che, se consideriamo anche i casi Alitalia e Ilva, pare dare avvio a un nuovo corso industriale per il Paese fatto di una maggior presenza dello Stato nell’economia.



La cosa non è un male in sé, se noi andiamo a vedere vi sono casi di buona gestione aziendale che vedono un’importante presenza del pubblico, e non solo in Italia: a parte in particolare le nostre Eni, Finmeccanica, Fincantieri, si pensi a Psa Peugeot, Renault, la Chrysler durante la presidenza Obama, ecc. Vi sono momenti travagliati per l’economia dove i governi possono operare scelte a sostegno di asset strategici. Il punto è però che, quando lo fanno, bisogna che accompagnino e non pretendano di sostituire l’expertise del privato che – a parte casi eccezionali, qualcuno anche già citato – risulta fondamentale per la gestione della complessità dell’industria, sia essa delle infrastrutture stradale, dei trasporti, piuttosto che della siderurgia.



Diciamo appunto, non a caso, strade, trasporti e siderurgia perché dopo la volta di Autostrade e Alitalia – anche se di fatto la compagnia di bandiera non è stata nazionalizzata, ma più semplicemente inondata di liquidità – si sta sempre più avvicinando l’ora del dossier Ilva. E, anche in questo caso, il Governo potrebbe ridimensionare la presenza del privato, ovvero di ArcelorMittal.

Il caso Ilva presenta certamente qualche specificità. Una presenza dello Stato nell’assetto societario di ArcelorMittal Italia potrebbe costituire una sorta di impegno italiano nel fare di Taranto e dell’ex Italsider poi Ilva un importante soggetto del nuovo programma industriale europeo del Green New Deal, attraverso le risorse del Recovery fund.



In Europa, non vi sono molti siti industriali come lo è Taranto e, certamente, ciò offrirebbe una buona occasione sia a Mittal, sia alla politica: i manager pubblici hanno sicuramente più abilità di quelli privati di dialogare con le Istituzioni circa finanziamenti e adempimenti che tale tipologia di risorse richiede. Inoltre, una presenza del pubblico a fianco degli “indiani” – così più volte qualche ministro ha chiamato la famiglia Mittal – potrebbe rendere più agevole una presenza complicata su un territorio ferito e in subbuglio come quello tarantino.

Il problema della nazionalizzazione è diverso negli altri due casi. Per il momento, la gestione dell’industria del trasporto aereo è affidata a un giurista – vedremo di quale rilancio industriale sarà capace l’Avv. Leogrande – e, nel caso di Autostrade, il Governo sembra voler riesumare ciò che resta della vecchia Anas (che già allora aveva ceduto ad Atlantia proprio perché non in grado) per poi – qualcuno dice – cedere a un player magari tedesco o francese (ma al momento sono solo voci…).

Ora, nell’uno e nell’altro caso, il Governo sembra essere molto ingordo e poco lungimirante. Le aziende funzionano se vi sono piani di impresa seri e se sono guidate da manager competenti. Non si vede nulla di tutto questo nei due importanti dossier Alitalia e Autostrade. Auguriamoci di essere in errore e facciamo finta che il Governo abbia un grande piano di rilancio che, al momento, non vediamo. Diversamente, saranno solo dolori per i contribuenti italiani che oggi gioiscono per la sconfitta dei Benetton. Ahi serva Italia

Twitter: @sabella_thinkin

Leggi anche

ILVA/ Un piano, una proposta e i nodi da sciogliere per il GovernoILVA/ E quel ruolo dello Stato che non smentisce la dottrina DraghiDALL'ALITALIA A WHIRLPOOL/ Tutte le crisi aziendali che Conte ha lasciato in eredità