No all’archiviazione del caso sulla morte di Imane Fadil, testimone “chiave” nel processo Ruby deceduta il primo marzo 2019 all’Humanitas di Rozzano, nel milanese. Questa la decisione del gip di Milano, Alessandra Cecchelli, che ha accolto la richiesta dei legali della famiglia della giovane, tra cui l’avvocato Mirko Mazzali, e respinto l’istanza di archiviazione dei pm. Secondo il gip, come riportato da La Repubblica, sono infatti necessarie nuove indagini e valutazione, anche con perizie, per capire se vi o meno un “nesso” tra la morte della modella marocchina e la “condotta dei sanitari” e se, tra le altre cose, la “malattia“, una aplasia midollare, poteva essere diagnosticata prima. La giovane, morta il primo marzo 2019 dopo un mese di agonia, in una telefonata col suo avvocato, precedente di due settimane rispetto al decesso, si era sfogata: “Preparati. Io non sapevo cosa avessi fino a quando a che non è arrivato dottore a dirmelo stamattina, che dai risultati sembra che qualcuno mi abbia avvelenato. I dottori mi hanno chiesto: “Ma lei ha avuto questa sensazione?”. Io lo sapevo già, sentivo questa roba che volevano avvelenarmi, farmi fuori, però non ho detto nulla ai medici perché se ne rendessero conto dagli esami. Hanno aspettato a dirmelo perché volevano essere certi dei risultati e stamattina me lo hanno comunicato. Non hanno detto nulla ai miei, perché erano la prima volta che li vedevano e gli sarebbe venuto un colpo“.



IMANE FADIL, GIP: “NUOVE INDAGINI SULLA MORTE”

La mamma e i fratelli di Imane Fadil, attraverso l’avvocato Mirko Mazzali, nella loro richiesta hanno rimesso sul tavolo tutti i possibili scenari: da quello dell’avvelenamento fino alla colpa medica, presentando un’istanza di opposizione all’archiviazione dell’inchiesta per omicidio volontario. Nel documento si leggeva come a loro dire mancasse “una valutazione globale della contemporanea presenza di tante sostanze anomale, in quantità non irrilevanti, nel corpo di Fadil“, tra cui la piridina, e per questo bisognasse allargare “lo spettro di possibili cause di avvelenamento da esplorare, anche avvalendosi di centri esteri, particolarmente specializzati. I consulenti della Procura hanno esaminato solo una minuscola parte delle sostanze, fondandosi su criteri selettivi molto stretti“. Riguardo all’ipotesi di colpa medica, l’avvocato Mazzali sottolineava il “ritardo della diagnosi in relazione alla possibilità di una cura efficace della malattia“, tenendo conto che “un’anticipata disponibilità del dato di istologia midollare avrebbe consentito, qualora correttamente interpretato, l’avvio dell’opportuna terapia immunosoppressiva in una fase ancora lontana da una condizione clinica di vero e proprio end stage“.

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