Da anni i corsi per adulti promossi dalla Fondazione Clerici, quelli socio-sanitari, soprattutto i percorsi di Asa e di Oss, sono frequentati da una percentuale di immigrati altissima e le donne sono senza dubbio la maggioranza.

In questi ultimi anni  poi, la pandemia, la stanchezza di tanti operatori, hanno messo in pesante sofferenza il nostro sistema socio-sanitario e sanitario aprendo di fatto in modo importante una nicchia di mercato del lavoro che per molte donne e uomini immigrati è davvero una speranza concreta di trovare un lavoro molto dignitoso e stabile, ma serve una adeguata formazione.



Da dove vengono, chi sono e che storie hanno le tante donne che arrivano da noi e ci chiedono informazioni sui nostri corsi?

Arrivano prevalentemente dall’Europa dell’Est (Ucraina, Romania, Moldavia), dall’America del Sud (Perù, Venezuela, Ecuador), dall’America Centrale, soprattutto Honduras, ma anche dall’Africa (Egitto, Togo, Angola, Costa d’Avorio).



Ognuna di loro ha una storia complessa che ci prendiamo coraggiosamente sulle spalle, convinti da sempre che una buona formazione ed il lavoro siano da considerarsi requisiti basilari per qualsivoglia progetto di cittadinanza e che l’integrazione deve iniziare nei luoghi dove le persone si incontrano (scuola, posti di lavoro, spazi pubblici).

La maggior parte di loro ha più di 30 anni, ha figli, è in Italia da qualche anno e svolge lavori precari prevalentemente di cura, raramente pagati adeguatamente proprio perché precari.

Vi è una sorta di “dimensione di genere” nelle migrazioni, che vede spesso le donne prevalentemente segregate in alcuni settori e in alcune mansioni di basso livello, invisibili sul piano contrattuale (irregolare o sommerso) e di conseguenza senza un’adeguata tutela nell’ambito della sicurezza sociale.



Dopo il processo migratorio che le ha allontanate dal loro mondo culturale e affettivo la loro è un’identità tutta da ricostruire e purtroppo molte di loro anche se nel Paese d’origine aveva conseguito un diploma e alcune di loro anche la laurea, con il tempo si è avviato un processo di progressiva dequalificazione, non essendo riuscite a mettere a frutto le proprie capacità e competenze.

Che succede dunque nel momento in cui decidono di dare una svolta alla propria vita, trovando il coraggio di rimettersi in gioco, investendo risorse economiche e facendo tanta fatica per rimettersi dietro un banco per frequentare un corso di qualifica professionale?

Innanzitutto devono possedere prerequisiti specifici: aver raggiunto la maggiore età, parlare e comprendere discretamente la lingua italiana, possedere il diploma di scuola secondaria di primo grado (scuola media) per il corso Asa e un diploma di scuola media superiore per il corso Oss. Ed è proprio il titolo di studio, se conseguito nel Paese di provenienza, che rappresenta molto spesso uno scoglio, al punto tale che a volte porta all’abbandono del progetto. Perché? Cosa è previsto in materia di titoli di studio per l’accesso? E quali sono le difficoltà?

Se si è cittadini/e comunitari/e basta la traduzione asseverata del titolo di studio rilasciata da un traduttore che abbia abilitazione e quindi in questo caso, al netto dei costi che a volte sono folli e vanno a gravare in ogni caso sul budget previsto, il percorso è abbastanza semplice.

Molto più complesso, e a volte ai limiti della sopportazione sia economica che umana, è il recupero del titolo di studio per i cittadini/e provenienti da Paesi non comunitari.

In questo caso è richiesta la dichiarazione di valore del titolo di studio, un documento che attesta il valore di un titolo di studio conseguito in un sistema di istruzione diverso da quello italiano, redatta in lingua italiana e rilasciata dalle rappresentanze diplomatiche italiane all’estero (ambasciate/consolati) “competenti per zona”, vale a dire le più vicine alla città in cui si trova l’istituzione che ha rilasciato il titolo straniero.

Capite che questo è un problema non da poco, soprattutto quando si è lontani da diversi anni dal proprio Paese: non c’è più una rete familiare in loco di supporto e di riferimento, oppure si è proprio fuggiti da quella rete.

Dai tanti racconti che accogliamo si viene a sapere che le ambasciate spesso non solo non sono di aiuto, ma anzi creano ulteriori problemi a rilasciare la dichiarazione del titolo di studio che per noi è un diritto. E allora accade spesso che quando non si riesce ad ottenere quello che è di fatto un diritto, ci si affida ad amici o ad amici degli amici che promettono, a fronte di pagamento, di recuperare il documento ed il percorso diventa davvero un’odissea. Si paga, si continua a pagare e purtroppo a volte accade che nulla accade ed il documento non arriva.

Questo crediamo sia un problema molto grave per tutti quegli stranieri non comunitari che hanno il serio desiderio di vivere onestamente nel nostro Paese e sarebbe auspicabile lavorare su accordi tra Stati che chiarissero una volta per tutte come gestire in modo trasparente e soprattutto onesto il recupero di questa documentazione che è fondamentale per una integrazione vera.

Non si può speculare sulle spalle e sul futuro di tante persone; purtroppo in alcuni Paesi questo avviene ed è francamente vergognoso.

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