Sentenza “storica” da parte del Tar Liguria, che ha stabilito che è legittimo che la Questura non rinnovi il permesso di soggiorno a un immigrato, facendolo rientrare in patria con la famiglia anche se residente da 13 anni in Italia, con moglie e figli di 7 e 4 anni, occupato con regolare contratto di lavoro subordinato, perché “non ha interiorizzato le regole essenziali del vivere civile” violate “con la commissione di reati di rilevante gravità”.
Con questa motivazione è stato bocciato il ricorso di un uomo di nazionalità albanese contro la Questura di Savona e il Viminale, che, dal canto loro, avevano negato il rinnovo di permesso di soggiorno in considerazione della condanna a 3 anni per 16 episodi di cessione di stupefacenti. Come si legge nella sentenza, “la Questura ha evidenziato che tutto il nucleo familiare possiede la stessa cittadinanza e pertanto può rientrare nel Paese di origine senza rischi di divisione. È stato ritenuto che prevalesse l’esigenza di allontanare uno straniero pericoloso, nonostante la situazione famigliare e gli anni di permanenza in Italia”.
TAR LIGURIA, SENTENZA “STORICA”: RESPINTO IL RICORSO DI UN IMMIGRATO ALBANESE CONTRO IL RIMPATRIO
Sempre nell’ambito della sentenza sopra espressa, il Tar Liguria ha posto l’accento sulla situazione familiare dell’immigrato e sugli anni di permanenza sul territorio nazionale, ritenendo che tali elementi fossero “recessivi, in quanto non hanno influito sull’interiorizzazione delle regole essenziali del vivere civile che sono state violate mediante la commissione di reati di rilevante gravità”.
E, ancora: “Tale valutazione non può considerarsi manifestamente illogica o arbitraria ove si consideri che lo straniero è stato condannato per sedici episodi di cessione di stupefacenti avvenuti nell’arco di un anno. Inoltre, l’amministrazione ha evidenziato che tutto il nucleo familiare possiede la stessa cittadinanza e, pertanto, può rientrare nel Paese di origine senza rischi di divisione”.