C’è una verità che i sostenitori dell’immigrazione negavano (e qualcuno continua a farlo), ma che ora sono costretti ad ammettere: tra gli effetti c’è anche quello della riduzione degli stipendi. Ne parla Nick Timothy, scrittore e consigliere politico, ex capo dello staff congiunto di Downing Street sotto Theresa May, sulle colonne del Telegraph. In una fase nella quale nel Regno Unito si discute della necessità che i politici dicano la verità, ad esempio per quanto riguarda il caso Boris Johnson, si evidenzia come serva anche quando si parla di immigrazione. «Ogni manifesto di ogni partito che ha vinto le elezioni nell’ultimo quarto di secolo ha promesso il controllo dell’immigrazione, ma ogni governo non è riuscito a mantenerlo. In questo periodo abbiamo avuto più immigrazione che negli ultimi 2.000 anni messi insieme. Nell’ultimo anno, l’immigrazione netta è stata di 606.000 persone, un numero impensabile anche solo 12 mesi fa».



Eppure, ci sono politici che auspicano l’arrivo di altri migranti, accusando il mercato del lavoro di essere troppo rigido e ricordando che le aziende hanno bisogno di lavoratori. Qualcuno però sta cominciando ad ammettere che l’immigrazione ha effetti negativi sul mercato del lavoro. Questo è il caso di Philip Hammond, Cancelliere dello Scacchiere nel governo di Theresa May, secondo cui «l’allentamento dei controlli sull’immigrazione creerà una maggiore concorrenza per i posti di lavoro e contribuirà a ridurre l’inflazione, e quindi i tassi di interesse, riducendo il potere dei lavoratori di chiedere aumenti di stipendio».



“MIGRANTI, L’IMPATTO NEGATIVO SUL LAVORO”

Quando le aziende possono assumere da qualsiasi parte del mondo senza cercare di farlo prima in Gran Bretagna, e con salari che spesso non superano il salario minimo, quali controlli dovrebbe allentare ancora il governo? Lo chiede Nick Timothy, rivendicando il fatto che quello del Regno Unito sia il sistema di immigrazione più generoso del mondo occidentale. Proprio la crisi dell’inflazione smentisce ministri e funzionari che negli anni hanno insistito sul fatto che non causi la perdita di posti di lavoro o la riduzione dei salari. «Lo hanno fatto nonostante gli studi accademici e le prove del Comitato consultivo per la migrazione del governo affermassero il contrario. Ma ora lo ammettono loro stessi», scrive sul Telegraph.



Spesso si sostiene che i lavoratori immigrati possano colmare i vuoti nel mercato del lavoro, ma anche questo non significa che l’immigrazione, che comunque porta con sé gravi sfide economiche e sociali, debba automaticamente aumentare. Più che auspicare un aumento dell’immigrazione in generale, bisognerebbe al massimo puntare su un particolare tipo, quindi «cambiare l’equilibrio e il profilo, pur rimanendo fedeli alla necessità di ridurre drasticamente il numero complessivo».