Lo studio pubblicato ieri dal New York Times potrebbe cambiare radicalmente l’approccio e le speranze sulla finora quasi inscalfibile pandemia Covid-19: lo studio documenta come l’immunità al coronavirus potrebbe durare anni, se non addirittura decenni. Per la prima volta un paper scientifico – che ancora deve essere pubblicato sulle più importanti riviste di scienza del pianeta, dunque serve ancora una valutazione attenta da parte degli studiosi – riporta dati, studi e dettagli circa la possibilità che chi guarisca o si sottoponga al vaccino anti-Covid potrebbe mantenere una protezione immunitaria per diversi anni. Il tema è quello non nuovo della “memoria immunitaria” ma è la prima volta che associata al Sars-CoV-2 produce una tesi così importante e determinante – qualora fosse verificata – per la battaglia contro la pandemia del nuovo millennio. I dati, oggi riportati anche dal quotidiano “La Repubblica”, mostrano come ancora 8 mesi dopo la prima infezione al Covid-19 la stragrande maggioranza dei guariti conserva «cellule immunitarie sufficienti a prevenire la malattia». Lo studio è stato condotto su 185 persone tra 19 e 81 anni di età guariti dal Covid-19: come sottolinea la traduzione di Rep, gli scienziati hanno individuato ben 4 componenti del sistema immunitario. Si tratta di anticorpi, linfociti B e due tipi di linfociti T: secondo lo studio Usa, «gli anticorpi e linfociti T sono diminuiti lievemente nel tempo, i linfociti B sono addirittura cresciuti di numero».



LO STUDIO SORPRENDENTE SUL NEW YORK TIMES

Come ha spiegato al NYT la virologa responsabile dello studio condotto da “La Jolla Institute of Immunology”, Shane Crotty, «Questa memoria immunitaria dovrebbe permettere alla maggior parte delle persone di evitare forme gravi della malattia per molti anni». Una parte minima dei malati di Covid non sviluppa invece immunità a lungo termine ma questo problema altrettanto importante – in senso opposto – trova una sua spiegazione negli stessi scienziati Usa che hanno condotto l’innovativo studio: questa “mancata” memoria immunitaria potrebbe dipendere dalla quantità di virus a cui sono stati esposti. Al netto di tutto però, proseguono, «Questo tipo di variabilità sarebbe comunque normalizzato dalla somministrazione di un futuro vaccino»; in questo modo si potrebbe spiegare, osserva il NYT, i vari casi di persone ammalatisi più volte in questo anno al Covid-19. Ma come possono però stare insieme le conclusioni dello studio “La Jolla” assieme agli altri che dimostrano la mancanza di anticorpi contro il Covid dopo pochi mesi dall’infezione? Se è vero che gli anticorpi prevengono nuove infezioni, è altrettanto verificato da questo nuovo studio (e da diversi altri negli ultimi mesi, ndr) che altre cellule del sistema immunitario “ricordano” il coronavirus e prevengono lo sviluppo di sintomi più gravi.

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