Gli anticorpi specifici non sono l’unico elemento su cui si basa la protezione da una successiva reinfezione. Per questo il test sierologico potrebbe non essere sufficiente per individuare l’immunità al coronavirus, in quanto non tiene conto del ruolo delle “cellule T” e la loro capacità di identificare le cellule infette e distruggerle. È quanto emerge da diversi studi, in particolare quello del Karolinska Institutet di Stoccolma (Svezia). Dalla ricerca è emerso, infatti, che molte persone affette da Covid-19 in modo lieve o asintomatico hanno sviluppato la cosiddetta “immunità mediata da cellule T” al nuovo coronavirus. Ciò anche se non risultano positivi agli anticorpi nei test sierologici. Pensiamo a quante persone non si sono mai rese conto di aver contratto l’infezione. Non si sono sottoposte, quindi, al tampone e magari, se hanno effettuato test sierologico, hanno avuto esito negativo. Pensano di essere vulnerabili a Sars-CoV-2, invece non solo si sono contagiate, ma sono protette pur non avendo anticorpi specifici.



IMMUNITÀ COVID, C’È CHI SVILUPPA QUELLA DA CELLULE T

Una conferma arrivata da un altro studio, quello condotto dagli scienziati della Duke-NUS Medical School. La ricerca, pubblicata recentemente su Nature, ha rilevato la presenza di cellule T della memoria contro Sars-CoV-2 in oltre la metà delle persone esaminate. Tra queste persone, ce n’erano alcune che avevano contratto la Sars nel 2003 e presentavano a 17 anni di distanza una risposta immunitaria basata sulle cellule T. Un’altra metà dei soggetti, che nel corso della loro vita avevano contratto solo i coronavirus del raffreddore, manifestavano cellule T specifiche contro Sars-CoV-2. Quel che ancora non è chiaro, e va quindi approfondito, è il livello di protezione. Quello dell’immunità è un discorso infatti molto delicato: per gli scienziati le cellule T hanno generato una risposta nei confronti del coronavirus, d’altra parte non sanno se sia in grado di proteggerli completamente. Ma già a luglio il professor Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto clinico Humanitas, in un’intervista al Corriere della Sera aveva spiegato che «gli anticorpi sono solo una spia di una risposta immunitaria» e potrebbero non essere la migliore.

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